Rifiutare
l’integrazione si può, è un diritto. Proteggersi è anzi un dovere, come unità
(personale, familiare), come etnia, come religione, come minoranza.
Il rifiuto islamico
però è opportunista. In due maniere: rifiuta l’integrazione mentre pretende
l’immigrazione, che presenta come un diritto. Per motivi umanitari, si dice,
che però in nove casi su dieci non ci sono – lo statuto di rifugiato politico è
legato a criteri precisi: pericolo, persecuzione, dittatura. .
Si accetta
l’integrazione per quanto concerne l’uso dei servizi gratuiti o privilegiati:
scuola, sanità, abitazione, anche il lavoro a certe condizioni. Ma non se ne
accetta la pedagogia, spesso neanche la lingua, che si ritiene di non dover apprendere
o praticare. Non se ne accetta il diritto civile, per quanto concerne la
famiglia e la proprietà, la protezione dei minori, la protezione della donna.
Si rifiuta cioè essenziale.
È un’immigrazione
che si ritiene portatrice di diritti e non di doveri. E anzi arriva e si prosptta con un senso di sfida. Questo non era mai successo
nella storia dell’emigrazione. Non nel caso di emigrazioni epocali, di massa, per
bisogno. E forse non è accettabile. Non lo è comunque per il comune cittadino, di
fronte al quale perché l’immigrato può pretendersi privilegiato e\o ostile?
Nessun commento:
Posta un commento