mercoledì 1 febbraio 2017

Il rifiuto dell’integrazione

Rifiutare l’integrazione si può, è un diritto. Proteggersi è anzi un dovere, come unità (personale, familiare), come etnia, come religione, come minoranza.
Il rifiuto islamico però è opportunista. In due maniere: rifiuta l’integrazione mentre pretende l’immigrazione, che presenta come un diritto. Per motivi umanitari, si dice, che però in nove casi su dieci non ci sono – lo statuto di rifugiato politico è legato a criteri precisi: pericolo, persecuzione, dittatura. .
Si accetta l’integrazione per quanto concerne l’uso dei servizi gratuiti o privilegiati: scuola, sanità, abitazione, anche il lavoro a certe condizioni. Ma non se ne accetta la pedagogia, spesso neanche la lingua, che si ritiene di non dover apprendere o praticare. Non se ne accetta il diritto civile, per quanto concerne la famiglia e la proprietà, la protezione dei minori, la protezione della donna. Si rifiuta cioè essenziale.
È un’immigrazione che si ritiene portatrice di diritti e non di doveri. E anzi arriva e si prosptta con un senso di sfida. Questo non era mai successo nella storia dell’emigrazione. Non nel caso di emigrazioni epocali, di massa, per bisogno. E forse non è accettabile. Non lo è comunque per il comune cittadino, di fronte al quale perché l’immigrato può pretendersi privilegiato e\o ostile?

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