Uno scrittore e saggista che non si può
leggere senza latino, era la sua seconda lingua. Da Orazio e Virgilio,
naturalmente, a sant’Agostino. Con un po’ di greco – la poesia è creazione,
ποίησiς. E di ebraico. Un critico militante, su un vasta serie di libri del
giorno, e un quasi accademico. Si veda il
saggetto su Shelley. Quello sorprendente sul dramma greco, melodramma
“in tutti i sensi”: per l’insulsaggine
dei casi e gli argomenti, per i soggetti e personaggi, eccessivi, e per la
musica e la coreutica che li sostanzia. O “Il razionale del verso”, trattazione
pedante, sulla prosodia greca e latina e la prosodia francese e inglese.
Un critico militante polemico più che condiscendente.
“Il principio poetico” immortala molti contemporanei presto dimenticati – e
l’edizione Mondadori, 1949, l’unica che se ne sia fatta, non ha una sola nota
esplicativa delle migliaia di riferimenti: erano i lettori settant’anni fa in grado di
supplire da soli? Ma sempre con varie chicche: nel “Principio” c’è anche Boccalini,
“Ragguagli di Parnaso”, nei “Marginalia” Marco Antonio Flaminio, che anche lui
poetava in latino.
Sempre personale nel giudizio. Ossessionato
dal plagio, di Longfellow trova che ha copiato da Tennyson, Tasso da Lucano e Sulpicio,
e innumerevoli altri meno noti scova. Petrarca dice non grande poeta, ma
patriota e repubblicano sì, e umanista benemerito, applicato alla ricerca dei
classici da salvare. “George Balcombe” ripetutamente decreta il miglior
romanzo. Ma leggeva e apprezzava Dickens, Hawthorne e altri contemporanei
degni, Defoe, molto Settecento francese.
Poe-poesia è gioco di parole banale, e
anche sbagliato. Poe ha vissuto solo quarant’anni, di cui venti attivi, ma è
come se ne avesse vissuti quattrocento: è uno e molteplice, questa raccolta di
scritti critici lo propone in varie sfaccettature. Educato in Inghilterra. Poeta
riconosciuto – spesso lo si trascura. Narratore innovativo, per i racconti di orrore
e di suspense, per cui fu subito famoso, anche in Europa. Drammaturgo. Giornalista
fertile, e di molteplici iniziative. In certo senso dominava la scena
letteraria, per le polemiche che provocava. Nutrì del resto interessi anche
poco letterari: per la fisica (col poema “Eureka” anticipava il Big Bang…), il
mesmersimo, la crittografia, l’arredamento – ha scritto una “Filosofia
dell’arredamento” nel 1840, un secolo prima di Praz.
I “Marginalia”, che danno il titolo alla
raccolta, assortiti da una cinquantina di “Suggerimenti”, sono 225 frammenti di
riflessione, brevi e lunghi, dei suoi ultimi anni, 1845-1849 – quelli
tormentati dall’alcol e dall’oppio, dopo la morte di Virginia, la cugina sua
moglie. Alcuni saggi precedenti, di arte letteraria, fanno loro da corona. “La
filosofia della composizione” è una sorta di lezione di scrittura, che Poe
esemplifica col suo poemetto “Il Corvo”, “che in genere è il più conosciuto”.
“Il principio poetico” scandaglia la “natura” della poesia. Venirne a capo dice
impresa non semplice e forse non possibile. Ma sa che non è “terra nebulosa
della metafisica”, e anzi “per un decimo forse dipende dall’etica, ma di certo
per nove decimi si riallaccia alla matematica”. E che “il verso ha per origine il piacere che
l’uomo trova nell’uguaglianza, nella proprietà” – “la percezione d’un piacere
nell’uguaglianza dei suoni è il
principio della Musica”.
Edgar Allan Poe, Marginalia
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