“L’impressione che nutre la poesia è sempre
mutevole, nel disegno invece è una, e in sé più effimera”. “Solo dalla libera
resa dei corpi si sviluppa un autentico senso dell’arte… I più importanti maestri,
soprattutto nell’antichità, … erano sommi interpreti di corpi vestiti in quanto
esperti del nudo”.
Una silloge di “Pensieri sull’arte” divagatori
e pratici insieme. Il disegno di Raffaello è “preparatorio”. Quello di Dürer è
già “un’espressione artistica”: non vuole “altro mezzo figurativo dal
chiaroscuro”, “evocherà i colori, ma senza tradurli” – con un’ambizione perfino
superiore: “Sa che il colore della realtà distruggerebbe proprio quel mondo spirituale
che fra tutte le arti il disegno soltanto condivide con la poesia”.
Di suo, Klinger è legato ala forma
espressiva semplice dell’incisione – e più a quella erotica, a scuola di Félicien
Rops. Scelse la via più facile, ma rifletteva molto sul disegno, i colori, la
pittura. Poco più che trentenne collazionò una sorta di trattato, “Pittura e
disegno”, 1891. Un saggio breve, una sessantina di pagine, redatto in forma di frammenti
(un buon terzo sono qui presentati in una nuova traduzione, della stessa curatrice),
che ebbe varie ristampe e lettori illustri, Kandinsky tra gli altri. “Primo esploratore
di una soglia onirica”, lo ricorda Claudia Ciardi, che ne promuove il
ripescaggio. In una nota che ne colloca l’opera e la riflessione al centro del rinnovamento
artistico di fine Ottocento-primo Novecento. Con molti legami con la scena
tedesca (Monaco di Baviera, Vienna, Berlino), e anche con l’Italia (Böcklin, De
Chirico, Savinio – i due fratelli erano peraltro passati anche loro da Monaco).
Max Klinger, L’incanto della vita, Via del Vento, pp. 38, ill., € 4
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