Bot – I bot sono all’origine
del 52 per cento di tutto il traffico internet - i programmi automatici di
ricerca. Le audience online potrebbero essere impersonali – di testi contattati
e\o visionati per automatismi algebrici.
Brevità – Poe la trova controproducente in poesia (“Il principio
poetico”). La brevità dice “mania epigrammatica: “Occorre la pressione
prolungata del sigillo sulla cera”. E porta a esempio la “Serenade” di Shelley,
“di brevità esagerata, che ha l’effetto di indebolire la poesia e di sottrarla
alla pubblica attenzione”. Forse la più bella poesia d’amore.
Dizione – Capita di vedere due film di seguito in cui s’inscena
teatro. Nelle scene teatrali la dizione – parliamo del doppiaggio - è perfetta:
ogni sillaba è pronunciata, distinta, sonora, che gli attori siano di spalle,
di fronte, di sghembo, sul proscenio o al fondo della scena. Subito prima e
subito dopo è invece arruffata: confusa, inaudibile, specie le parti femminili.
Si dice in omaggio alla realtà, al vero della conversazione. Residuo del film
inteso come tranche de vie, seppure
per madornale sproposito? O non perché gli attori non hanno “studiato - specie le
donne, bisogna dire, che se giovani e belle pensano di aver già fatto tutto?
Einaudi – Giulio, l’editore,
per “onirico” intendeva “erotico” – testimonianza affettuosa del suo ex
redattore Ernesto Ferrero, “I migliori anni della nostra vita”.
Genere – L’etnologo tedesco
Fritz Graebner, che Borges cita (L’idioma degli argentini”, 17), deduceva, a proposito
del genere grammaticale: “Oggi prevale l’opinione che, fin dalle origini, i
generi grammaticali rispecchino una scala di valori, e che il genere femminile
rispecchi in molte lingue – quelle semitiche – un valore inferiore a quello
maschile”. Oggi, fine Ottocento. Ma per le lingue semitiche ancora oggi,
secondo Borges. Due delle quali, l’arabo e l’ebraico, sono anche lingue sacre,
delle scritture sacre per le rispettive religioni, la mussulmana e l’ebraica – le altre due lingue semitiche
viventi sono etiopiche, l’amarico e il tigrino .
Leghismo – E la Puglia, dove la mettiamo in una geografia della
letteratura? Il leghismo letterario avrebbe difficoltà – Dionisotti ne ha,
anche se non lo dice. Walter Pedullà, che il leghismo rilancia “da sotto” (Il
mondo visto da sotto”), lo riconosce in partenza. D’Annunzio lo mettiamo a
Pescara o a Roma? O a Parigi?
Manzoni – È Milano. È anche altro: un illuminista riconvertito, un
bisogno di fede, l’inquietudine annoiata. Ma si lega e viene legato a Milano.
Come Dante a Firenze, ma in un orizzonte più limitato – particolaristico,
campanilistico perfino: quello del nazionalismo.
È il tipo del poeta “legato a qualche luogo del mondo” di cui
in Borges, “La fruizione letteraria”, in “L’idioma degli argentini”, p. 100 – come Borges lo è di Buenos Aires.
Multigender – Poe, “Marginalia”, § LXXV, lo trova già in Virgilio:
“Servio cita da Virgilio una Venere con la barba”. C’era confusione tra gli
dei, nomi, funzioni, eccetera, e riguardava anche il sesso. “In Macrobio pure”,
prosegue Poe, “Calvo parla di lei come se fosse un uomo, mentre Valerio Sorano chiama
Giove decisamente «la Madre degli Dei»”. Calvo è Gaio Licinio Calco, il poeta e
oratore. Quinto Valerio Sorano è il grammatico e politico romano giustiziato da
Pompeo,
su richiesta del dittatore Silla, con l’accusa di aver rivelato il nome segreto
di Roma.
Naso – Quello del dottor Fliess, l’amico del dottor Freud, un
simbolo e anche un Ersatz del fallo,
era ben stato anticipato da Francisco Quevedo in apposito sonetto, “A un naso”,
peraltro tra i suoi più famosi. Di cui Elvira Marinelli, che lo include nella
sua “Antologia illustrata della poesia”, trova insistenti questi caratteri:
“Una delle più famose composizioni di poesia di Quevedo, che ha per oggetto il
naso come simbolo fallico, secondo una tradizione risalente già ai poeti
latini. Tutti gli oggetti nominati nel sonetto, dallo gnomone della meridiana
all’alambicco, dallo sperone alla piramide e al’elefante alludono a un grande
fallo, da ui il poeta sembra ossessionato”.
Novecento – Un secolo pieno di “inventori”, di “tecniche narrative”, lo
vuole Walter Pedullà, “Il mondo visto da sotto”, “come Pirandello, Palazzeschi,
S avinio, Gadda, Bomtempelli e Campanile”. Questo è vero. Zavattini si può
aggiungere, e perché non Sciascia?
Numero Zero – Quello di Eco, il suo ultimo romanzo, è del giornalismo,
più che della politica e dell’Italia. Una critica tanto più feroce in quanto di
schermisce: “Un’opera da «uomo senza qualità», scusi la citazione”. Brillante, cattivo,
Eco fa la satira del giornalismo, un mondo che conosce, per pratica e studi, di
vizi e vezzi: la “notizia”, la smentita, il dossier, il famoso giornalismo
anglossassone, quello che “i fatti vanno disgiunti dalle opinioni”, il direttore
(“questa storia dei telefonini non può durare!”), le frasi fatte ((la rabbia
dei pensionati, il papa buono, la stanza dei bottoni, la discesa in campo, nel
mirino degli inquirenti, il giro di walzer, il tunnel, la capra e i cavoli, la
frittata, ora anche chiedere scusa – “la questione è che i giornali sono fatti
non per diffondere ma per coprire le notizie”. Tutta la storia è centrata
peraltro sullo storione di Dongo, il giornalismo più vieto. Di un giornale che si progetta e non si fa,
si progetta per non farlo, il giornale ipotetico, per antonomasia. Il grado
zero del giornalismo. Eco, che tra le tante cose è stato uno studioso dell’opinione,
ne mete a nudo le magagne.
Plagio – Poe ne era ossessionato, ne trovava in una su due delle sue
letture, si può dire, e leggeva moltissimo. Molte ne dununciava, anche se non
lo riguardavano. E una volta fu accusato di avere plagiato se stesso.
Perfino di Eugène Sue sospettò che lo avesse copiato nei “Misteri di Parigi”.
Mentre veniva sospettato di essere stato l’lui il plagiario. Per l’episodio “Gingelet
et Coupe en Deux”, raccontato da Pique-Vinaigre ai compagni in “La Force”. Dove
è anche questione di una scimmia ammaestrata a uccidere. Il mio “Assassinii della
rue Morgue” è uscito nel 1841, si difende Poe, cioè prima – i “Misteri” sono
del 1842-43. Ed è stato tradotto qualche anno dopo dalla rivista “Paris
Charivari”, con molte lodi, continua Poe. Che, civettuolo, ricorda pure l’obiezione
della rivista, che a Parigi non c’è nessuna rue Morgue.
Poeta – Non sarebbe un prete? Specie quello laico, mangiapreti. È l’ipotesi
di Octavio Paz, almeno nella sua tradizione, classica e latina. Il Nobel
messicano la formula all’incontro con William Carlos Williams, “l’esatto
opposto di un oracolo”. Il poeta americano è “posseduto dalla poesia, non dal
ruolo di poeta”. Il che suggerisce a Paz questo paragone: “Senso dell’umorismo,
disinibizione, il rifiuto di prendersi sul serio, così tristemente mancante in
America Latina. In ogni autore francese, italiano, spagnolo e latinoamericano –
specialmente se ateo e rivoluzionario – si nasconde un prete”. Negli sa, “un
mondo relazionale pure così difficile”, è un’altra temperie: “Qualità democratiche come semplicità,
comprensione e umanità – nel vero senso della parola «democratico» - infrangono
ogni corazza professionale”.
Scrivere – Bacone lo faceva “per esercitare le dita”, secondo il
critico della sua scienza, della scienza di Bacone, il beffardo reazionario Joseph
de Maistre. Ora che la pratica è così diffusa spariranno le artriti?
letterautore@antiit.eu
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