lunedì 13 febbraio 2017

Letture - 292

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Autore - Si voleva spia Kierkegaard, in quanto scrittore: “Ingannato dalla vita per non essere stato che un osservatore, il poeta è diventato, nonché l’ingannatore, l’inganno stesso”. La “negazione pura”, aggiunge - o non della negazione l’interprete? l’autore, sia pure spia, è moltiplicatore delle realtà.
Spinoza sigillava le lettere col motto latino “Caute” sull’abbozzo di un fiore, un invito alla dissimulazione. Uno che gli ebrei dissero eretico a vent’anni, e in sospetto ai gentili in quanto ebreo - ma non segnato: dell’isolamento fece il presupposto della libertà. Spinoza ripeteva il “Larvatus prodeo” di Cartesio, che anche lui pubblicava in Olanda.

Citazione - Alfonso Reyes, citato da Borges, che lo riteneva un suo maestro, ha difeso le citazioni e anche i plagi e le allusioni, come “una strizzata d’occhio al lettore”.

Marc’Antonio Flaminio – Detto Marcus Antonius Flaminius, dato che poetava in latino, prima metà del Cinquecento, umanista e poeta, dimenticato, è autore per Poe di versi insuperati (“l’accordo di suono e senso non fu mai meglio esemplificato che in questi versi): “Est amans charae thalamum puellae\ Deserit flens, et tibi verba dicit\ Aspera amplexu tenerae cupito avulsus amicae”. (“Marginalia”, CXIII)

Flaubert - Proust di Flaubert: “L’Educazione sentimentale” è un lungo rapporto di tutta una vita, senza che i personaggi prendano per così dire parte all’azione”. L’autore, come i i personaggi, non si educò mai all’amore.

Leone – Sergio Leone di persona era grande, grosso, e ondeggiava come un bucintoro, carico di falpali e anelli. Parlava con forte accento romano, anche in inglese, e aveva un eloquio limitato, pratico. Ma era quello che sa dire l’ineffabile, narrare il noto, e neppure il suo, la Roma di Trastevere, ma le praterie Usa, città incluse, e i rinnegati d’ogni razza, messicani, ebrei, irlandesi, con la credibilità del romanzone russo, con calore, beandosi nel melodramma, l’inverosimile vero, a tinte forti, specialità italiana. Pure la musica avendo rivoltato: invece dell’hilly-billy l’urlo del coyote, i tempi dotti di Morricone.
È dura sottrarre qualcosa al Nord, il Messico del western è solo un fondale. Leone è però strutturalista prima dello strutturalismo, o post-strutturalista, genio dell’ipertesto, e di ogni teoria dei giochi, illetterato. Creatore senza saperlo di quest’altro postmoderno, di un’età che non ha nulla da dire se non ridire il già detto, specie se estraneo. L’arte che rifà l’arte, l’artista falsario o il falsario artista, lo scrittore della riscrittura, il trascrittore in musica, l’editore nell’editoria, con prologhi, prefazioni, risvolti, note, segnalibri, schede di vendita, e con ogni materiale di scarto, varianti, cancellazioni, rifacimenti. Ecco perché Leone è sempre pronto, in vestito di scena: a film su film, il genere è anche americano, del remake, rifare il già fatto.

Poeta – Kierkegaard lo vuole scapolo. Come la carne di tartaruga sa di ogni tipo di carne, dice, così il matrimonio - Kierkegaard si mangiava le tartarughe? Kierkegaard non si sposò per diventare poeta: “Si è mai sentito di uno che sia diventato poeta a fianco di sua moglie?”. E si consolava: “È comico che l’alto volo dell’amore finisca sempre, come le conserve di frutta, alla dispensa; ma è anche più comico che questa conclusione ne sia la suprema espressione”.

Prefazione – Le prefazioni non piacevano a Kierkegaard, come ora non piacciono a Sorrentino. Che ne fa una per  il suo ultimo libro, “Il peso di Dio”, per dirla “scoraggiante”, “più compiuta del libro stesso”, o “faticosa e complessa”, “sfoggio di osservazioni e di vertigini culturali”, “rischiosa” e magari estranea e fuorviante, col rischio di “essere noiosa”.
Più di Sorrentino, Kierkegaard si è avventurato in una bizzarra raccolta di prefazioni, un intero libro, a libri che non ha scritto. Giustificandosi col dire che la giovane moglie non voleva che scrivesse, che si sentiva tradita dai suoi progetti di libri peggio che da un’amante - Kierkegaard non aveva moglie.

Borges, “L’idioma degli argentini”, va più in là: “Il prologo vuole essere un passaggio dal silenzio alla voce, una mediazione fra i due, un crepuscolo; ma è altrettanto verbale, e altrettanto limitato dal verbale, di quello che introduce”. Cioè inutile - l’autore avendo appena finito di parlare, per tutto il libro che il prologo introduce.
Anche Borges, come Kierkegaard, ne è specialista, solo che le chiama prologhi. Ne ha scritto uno per ogni suo libro. E li ha anche riuniti insieme in un libro, “Prologhi”, con un prologo.

Proust – Questa si dimentica, di R. Barthes, che invece è freccetta al cuore, “Il brusio del linguaggio”, 30 , al cap. “Scrivere, verbo intransitivo”: “Caso esemplare (è) il narratore proustiano, che non esiste che scrivendo, malgrado il riferimento a uno pseudo-ricordo”.

Repertori – Le “liste” di cui Eco era goloso, i “repertori” e gli accumuli, di detti, frasi fatte, citazioni, critiche, Petrarca ne era maestro e scienziato. Della realtà come lettura. L’accumulo di sapere attraverso i libri e le letture. Per es. sulla morte. Lo studioso di Petrarca Francisco Rico, “Gabbiani”, p. 96: “Sono innumerevoli, e ci sarà chi dice la maggioranza, le pagine latine di Petrarca fabbricate secondo queste ricette”. E p. 97: “Non è che Petrarca non abbia posizioni proprie e altre idee interessanti. Affatto. È che la expositio, nella dizione e nei contenuti, è diventata un habitus mentis personale e intellettuale. Per l’uomo medievale sapere equivale a estrarre da un deposito chiuso, la Bibbia o Aristotele”. Medievale, dunque…. Ma senza l’ironia.

Riscrivere - Di Petrarca anche la mania di riscrivere. Id., p. 98: Petrarca si identificava esplicitamente con Fidia, il quale continuava a ritoccare le sue opere quando erano già scolpite “usque in miraculum” (“Res Memorandae, III, XVI).

Selfie – Uno che presto, a 28 anni, sente vivissimo il “desiderio di scrivere un’autobiografia”, Kafka, la vive come una condanna, l’autosservazone e l’autorappresentazione – “Il primo presupposto della scrittura non è l’essere desti, ma l’oblio di se stessi”, scrive a Max Brod il 5 luglio 1922.

Sonetto – “Uno stampo per budino”: Borges ne dà la paternità a Ricardo Güiraldes. Canzonando “la deplorevolissima abitudine di imporre la misura del sonetto a ogni emozione”. Nel caso che esamina, un sonetto dell’amato Quevedo, censura la fabbrica di metafore “pudiche e vili” per non dire la morte – sonetto con metafore, due bestie nere.

Turchia È un calco dell’Italia nel poema eroico di Byron, uno dei suoi primi, “La sposa di Abydos”. Un calco dell’Italia di Goethe nel “Wilhelm Meister. Gli anni di apprendistato”. Il poema Byron apre col remake: “Conosci tu il paese dove il cipresso e il mirto…”.

letterautore@antiit.eu 

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