Casey Affleck, premio Oscar, ha la stessa
faccia per tutto il film, due ore e mezza. E lui c’è in ogni scena: da caso
umano o povero scemo - “cosa volete da me?”. Ogni tanto fa a pugni ma come
riflesso condizionato, da belva impaurita. Ogni scena – altro Oscar - è peraltro
uguale alla precedente. Non ci sono scarti. C’è una sorpresa, ma prevedibile. Quando
celebriamo gli Oscar cosa celebriamo?
È il quarto o quinto film americano della
stagione, con gli altri due premiati, “Barriere” e “Moonlight”, e con “Paterson”,
che adotta lo schema neo realista. Dei semitoni, dei grigi, della ripetitività
- di facce scene, battute. Per ragioni forse di economia, sicuramente di poetica:
sarebbe il cinema della crisi. Che però si vive a parti invertite. L’Europa ci
ride su, in qualche modo, alla Frank Capra, l’America affetta sofferenza –
impegno sociale, impegno civico.
"Manchester va oltre, volendosi monotono -non sdrucciolo. Qualcosa vuole de "La donna di sabbia", l'impareggiabile exploit del giapponese Hiroshi Teshigehara - anche la lunghezza è uguale, 147'.
Kenneth Lonergan, Manchester by
the Sea
"Manchester va oltre, volendosi monotono -non sdrucciolo. Qualcosa vuole de "La donna di sabbia", l'impareggiabile exploit del giapponese Hiroshi Teshigehara - anche la lunghezza è uguale, 147'.
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