Arte – “Senza scopo” la dice Benjamin
Constant, “Journal intime”, “perché ogni scopo snatura l’arte. Ma l’arte
raggiunge lo scopo che non ha”. È la ricerca della felicità.
Cristo – Il Cristo-Carità
o Amore non è invenzione dei due papi, Ratzinger e Bergoglio: c’è anche in Poe,
“Marginalia”, una delle prime annotazioni, § IX: “Un solido argomento in favore
della religione di Cristo è questo – che le offese contro la Carità sono quasi
le sole che gli uomini sui loro letti di morte ammettano . non per capire – ma
per sentire – come una colpa”.
Fato – Non c’è nell’“Iliade”,
la Τυχη, fortuna.
Felicità – È il fatto
estetico? Non un compimento, una tensione. Ma pur sempre consolante. Borges,
pur premettendo che “la felicità non è meno sfuggente nei libri che nella
vita”, non trova al fatto estetico altra ragione: “La presentazione di una
gioia, di un destino che si compie nella felicità, è forse il godimento più raro
(nelle due accezioni della parola: quella di insolito e quella di prezioso) che l’arte può dispensarci”.
Globalizzazione – Vista nella
temperie culturale del momento, invera Heidegger: “Un destino mondiale… in
assenza di Heimat”, di patria
(“Lettera sull’umanismo”, 1946). Per l’avvento di “nomadi semiti” (“Quaderni
neri”, 1939).
Immortalità – Perché non
sarebbe della materia? Le specie viventi muoiono, certo. Ma vige sempre la
legge di Lavoisier, “nulla si crea, nulla si distrugge tutto si trasforma”.
Infinito – Anzitutto è
non-finito.
Rete
–
Eco prima di morire: “I social media danno diritto di parola a legioni di
imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza
danneggiare la collettività. Venivano messi subito a tacere, ora hanno lo
stesso diritto di parola di un premio Nobel. È invasione degli imbecilli”. Ora
il tormentone delle fake news, non
una novità. Mentre twitter è il nuovo palazzo del governo: Trump governa
all’alba con un tweet. E facebook inemendabile impone il falso come
rappresentazione. La rete ripete il vecchio detto meridionale “Tempo
d’alluvione, pure gli stronzi vengono a galla”.
C’è un lato liberatorio nella rete, un
gradino più su del bar di Eco: bisogna chiudere le frasi , non limitarsi alle
interiezioni, le argomentazioni sono a seguire, per quanto balorde, e non
sovrapponibili, le identità hanno un minimo di spessore, seppure
nell’anonimato. Ma è un veicolo dissolutore per privilegiare i bassi istinti:
siamo dissolutori per essere ipercritici, anzi complottisti, decifratori
instancabili di segreti e occulterie, corpi separati eccetera. Per sfinimento.
Impossibilitati a capire, perché non si può ragionare. Per dissoluzione,
gioiosa – bastano come esempio i partiti politici, anche i giornali.
Lusso – Non ha cattiva
stampa presso gli economisti, anche se i molti ne hanno fatto oggetto di
pena,come spesa suntuaria. Né nella storia e la vita pubblica: l’evergetismo è
tuttora in auge, il mecenatismo. Rimosso
dalla riflessione (non dall’antropologia), se non per la condanna dei moralisti.
Ma non dalla liturgia e la pratica religiose, e dalla pratica sociale (feste,
celebrazioni, riti civili). È popolare perché è democratico: alla portata di
tutti e non discriminante, nell’intimo se non nelle apparenze? Borges, “Ancora
la metafora” (in “L’idioma degli argentini”, 60), lo definisce “il commento visibile
di una felicità”.
Materia – Non ne sappiamo
nulla, o quasi – solo il 5 per cento, opinano i fisici e gli astrofisici.
Metafora – È il modo del
pensiero, per rappresentazioni e idee, e
il loro collegamento. È vecchia polemica antisensista, anti-Hobbes, ma è dubbio
che l’anima (spirito) sia un’entità separabile, che possa cioè operare senza le
rappresentazioni che i sensi mediano.
Un
modo per essere mondo, parteciparne la complessità o grandezza, se non
condividerla, la dice Borges, “L’idioma degli argentini”. E un lusso, che tutti
possiamo per metterci – un lusso democratico.
È
l’unico senso del reale. Le cose non hanno senso, ancorché abbiano una funzione
– l’acqua, il sole, etc. Il colore, il suono, e ogni altro oggetto-effetto dei
sensi. Non hanno senso figurato o poetico: le stelle o la luna lo sono agli
occhi dell’uomo, la fede nell’animo del martire. E del resto vale costatazione
grammaticale, di Remy de Gourmont: “Allo stato attuale delle lingue europee,
quasi tute le parole sono metafore”.
Nichilismo – Niente o
nulla vengono come opposizioni, non-essere: nec
entem propriamente il primo, secondo il Devoto, dal latino medievale, dal
latino nullus il secondo, ne ullus. Il nada castigliano, come probabilmente il nothing inglese, è derivazione da nata, creata. E anticamente
equivaleva a cosa – cosa nata, creata. L’italiano e lo spagnolo usano il niente-nada insieme con altra negazione, senza
negarla: “Quest’uomo non serve a niente”. Hanno preso significato con la
ripetitività, per il contesto cioè, con l’intenzione certo di affermare
qualcosa ma solo come negazione indistinta, anche contro il senso grammaticale –
una sorta di significato d’uso.
È
ardua la sostantivazione del non-essere. Non è concetto “originario”, nato col
linguaggio? È un adattamento.
Poesia – “Cospirazione fatta
da uomini di buona volontà per onorare l’essere”, Borges, “Il culteranesimo”(in
“L’idioma degli argentini”, 64).
La poesia del
“suo” Schopenhauer, l’arte di azionare l’immaginazione mediante la parola,
Borges dice arte del bilanciamento in realtà, tra immaginazione e parola. E
prosegue: ultimamente – Novecento, ma anche Ottocento – si aziona questa a
discapito di quella. La poesia vorrebbe creare un mondo attraverso la parola,
ma di fatto lo appiattisce, nell’indistinto dello stato d’animo, malinconia,
idillio, ira, angoscia. Mentre mondi più immaginativi hanno creato i
romanzieri, che si ricordano.
Trattino –
E.A.Poe aveva in programma una “Filosofia del Punto”. Non sentendosi abbastanza
maturo, tratteggia quella della “lineetta”, o trattino. Reduce da un’inflazione
– “i poeti byroniani erano tutti
lineetta” – vi si esercita sopra. Giungendo alla conclusione che “il segno
rappresenta una secondo pensiero –
una correzione”. Un ripensamento, o
non una sottolineatura, seppure indicata, non imposta?
Ma
perché allora non riflettere, e proporre una proposizione definitiva? La lineetta,
argomenta Poe, segna un’indecisione dell’autore, e lascia al lettore la scelta
della versione migliore.
zeulig@antiit.eu
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