sabato 11 febbraio 2017

Secondi pensieri - 295

zeulig

Amore - Nella lirica è una distinta, forte, ossessiva proiezione. Non un’apertura, piuttosto una chiusura. Un appello a un oggetto incognito.  Una fantasticheria. Un continuo rimuginio – una ruminazione. Nella lirica maschile. Sovrabbondante, sterminata, in lingua e ancora di più in dialetto – i dialetti sembra non concepiscano altra poesia che lirica, o satirica. Quella femminile è circostanziata. In Saffo come in Sylvia Plath – a fronte per esempio dalla aloofness del marito Ted Hughes,il distacco, l’indifferenza, per il quale pure si suicidò.

Arte – La vista anima l’inanimato. La pittura moltiplica la visione, come un globo stroboscopico le immagini che vi si proiettano. Anche la scultura. Meno se slegate dal corpo umano, da figure individuabili dall’occhio fisico, come è dell’arte astratta, povera, materica, multipla, analitica, Land Art, Body Art, che presto diventano forme inespressive, passato l’effetto sorpresa.

Copyright – È sempre plurale. Si argomenterebbe con R. Barthes, “Il brusio del linguaggio”, 75: “Il Testo è plurale. Ciò non vuol dire soltanto che ha parecchi sensi, ma che realizza il plurale stesso del senso: un plurale irriducibile, e non soltanto accettabile. Il testo non  è coesistenza di senso, ma passaggio, traversata: non può dunque dipendere da un’interpretazione, anche libera, ma da un’esplosione, da una disseminazione”.

Corpo - L’immortalità Quevedo, che pure è un antisensista, vuole nell’atto fisico. Alla tedesca, das Akt: l’atto generativo, o anche soltanto godurioso. Una kantiana cosa-in-sé che fosse la copula. Anticipando Schopenhauer: “La copula sta al mondo come la parola sta all’enigma”. Che è fatto per essere sciolto, tramite la parola, e dunque il mondo è fatto per l’atto. Sostenere l’immortalità attraverso la materia non è male.

Il corpo è lo spirito è Schopenhauer, “Parerga e paralipomena”. E anche Mach (“L’analisi delle sensazioni e il rapporto tra fisico e psichico”), che dice suo “principio guida” il “completo parallelismo tra ambito fisico e psichico”. E anzi lo trova comunque  valido: “Questo principio è quasi ovvio, ma può essere posto come principio euristico anche senza il sostegno di questa concezione di base”.

Dio Poe, “Marginalia”, CXLV, cita un altrimenti ignoto Bielfield: “Pour savoir ce qu’est Dieu, il fau être Dieu même”, bisogna essere dio per concepirlo.  
“Ragionare intorno alla ragione”, prosegue-commenta Poe, “è di tutte le cose la più irragionevole”.

Dionisiaco – È, all’origine, di genere – femminile. Bisognava pensarci, Nietzsche ha toppato. Avrà ben conosciuto Euripide e le “Baccanti”, poiché ne parla nella “Nascita della tragedia”, ma era ancora Ottocento, vecchio stile, che come Schopenhauer le donne trattava con la frusta, o come il suo Zarathustra (“Vai dalle donne? Non dimenticare la frusta!”) – donne nel suo caso per lo più figurate, immaginarie. Il dionisiaco è femmina.
Dioniso è del resto Dio, lo dice il nome stesso. Che  sempre più è femmina.

Giustizia – L’ingiustizia Schopenhauer assimila al cannibalismo – in un passo noto del “Mondo come volontà e rappresentazione” che però si trascura. “L’ingiustizia si esprime in concreto nel modo più compiuto, più caratteristico e più tangibile  nel cannibalismo: questo è il suo tipo più chiaro e più evidente, l’orrenda immagine del massimo contrasto della volontà con se medesima, nel grado supremo della sua oggettivazione, che è l’uomo”.

Ironia - L’ironia dissecca se è da falsari: se sa di artefatto. È allora la voce di naso, con la erre moscia.

Mito – Si rilancia (si studia) nei periodi di guerra, e la mitologia “è stata ed è un progetto tanto profondamente inciso da modalità di guerra o di lunghissimo episodio di una guerra, da presentare le caratteristiche peculiari di un’iniziazione”. È la peculiare conclusione con cui Furio Jesi apre la sua introduzione a Nietzsche, “La nascita della tragedia”, 1980. “Non è estetismo sottolineare questa metaforica bellica”, si difende Jesi. Che documenta così l’osservazione: “«La nascita della tragedia» è un libro composto durante la guerra franco-prussiana del 1870-71; le «Considerazioni di un impolitico» durante la prima guerra mondiale; il «Doctor Faustus» durante gli ultimi anni della seconda e nell’immediato dopoguerra. Anche le «Tesi di filosofia della storia» furono scritte in tempo di guerra, 1939-40, e bisognerebbe essere sordi per non cogliervi echi di guerra”.
Ma sono tutti casi e autori tedeschi, Thomas Mann e Benjamin in aggiunta a Nietzsche: il mito è tedesco? o il mito in tempi calamitosi?

Nietzsche – “Warum ich so weise bin” è il primo testo di “Ecce homo”, perché sono così saggio. Seguito da “Warum ich so klug bin”, che Calasso traduce “Perché sono così accorto”, ma è meglio astuto – l’americano smart.

Poeta – È per Kierkegaard, “Timore e tremore”, “il genio della memoria”. Non un esploratore, alla ricerca del nuovo, ma un custode, avvertito. “Egli non può fare nulla, solo ricordare, solo ammirare ciò che fu fatto”. Questo potrebbe spiegare la cattiva resa delle avanguardie, al di là delle poetiche, le dichiarazioni di principio.
Il poeta Kierkegaard vuole un compagno, non l’eroe: “Questa è la sua missione, un umile fedele servitore dell’eroe. E se rimane così fedele al suo amore, se lotta notte e giorno contro  l’astuto potere dell’oblio, che vuole rapirgli il suo eroe, allora egli ha compiuto la sua opera”. Ma non ancillare: “Il poeta è per così dire l’io migliore dell’eroe, certo privo di forza come lo è un ricordo, ma anche trasfigurato come un ricordo. Perciò nessuno che fu grande sarà dimenticato”.

Paradossale – È l’espressione, la riflessione? R. Barthes, “Il brusio del linguaggio”, 74: “Il Testo tenta di porsi molto esattamente dietro il limite della doxa (l’opinione corrente…. ); prendendo la parola alla lettera si potrebbe dire che il Testo è sempre paradossale”. Così la filosofia, la riflessione del mondo – dell’esistenza, dell’essere.

Politeismo – Non è mutato col Dio Unico? Le astrazioni del Dio unico riflettono la confusione e le perplessità che i tanti dei impersonava nel politeismo. Mosè del resto, l’inventore e condottiero del  monoteismo, era pure lui confuso. Almeno a giudizio di Poe, che sapeva di ebraico (“Marginalia”, § CXXVIII): “Nel breve racconto della creazione, Mosè impiega le parole Bara Elohim (gli Dei creava)  non meno di trenta volte usando il sostantivo al plurale e il verbo al singolare” Nel Deuteronomio, invece, il sostantivo è usato al singolare, Eloah.

Romanzo – “Platone ha dato alla posterità il modello di una nuova forma artistica, il modello del romanzo”, è una delle divagazioni di Nietzsche (la prima opera vuole dire tutto) all’interno della “Nascita della tragedia”, § 14: “Una favola esopica infinitamente sviluppata”.

zeulig@antiit.eu

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