Amore - Nella lirica è una distinta, forte,
ossessiva proiezione. Non un’apertura, piuttosto una chiusura. Un appello a un oggetto
incognito. Una fantasticheria. Un
continuo rimuginio – una ruminazione. Nella lirica maschile. Sovrabbondante,
sterminata, in lingua e ancora di più in dialetto – i dialetti sembra non
concepiscano altra poesia che lirica, o satirica. Quella femminile è
circostanziata. In Saffo come in Sylvia Plath – a fronte per esempio dalla aloofness del marito Ted Hughes,il
distacco, l’indifferenza, per il quale pure si suicidò.
Arte – La vista
anima l’inanimato. La pittura moltiplica la visione, come un globo stroboscopico
le immagini che vi si proiettano. Anche la scultura. Meno se slegate dal corpo
umano, da figure individuabili dall’occhio fisico, come è dell’arte astratta,
povera, materica, multipla, analitica, Land Art, Body Art, che presto diventano forme inespressive, passato
l’effetto sorpresa.
Copyright – È sempre plurale. Si argomenterebbe
con R. Barthes, “Il brusio del linguaggio”, 75: “Il Testo è plurale. Ciò non
vuol dire soltanto che ha parecchi sensi, ma che realizza il plurale stesso del
senso: un plurale irriducibile, e non
soltanto accettabile. Il testo non è coesistenza
di senso, ma passaggio, traversata: non può dunque dipendere da
un’interpretazione, anche libera, ma da un’esplosione, da una disseminazione”.
Corpo - L’immortalità Quevedo, che pure è un
antisensista, vuole nell’atto fisico. Alla tedesca, das Akt: l’atto generativo, o anche soltanto godurioso. Una
kantiana cosa-in-sé che fosse la copula. Anticipando Schopenhauer: “La copula
sta al mondo come la parola sta all’enigma”. Che è fatto per essere sciolto,
tramite la parola, e dunque il mondo è fatto per l’atto. Sostenere
l’immortalità attraverso la materia non è male.
Il
corpo è lo spirito è Schopenhauer, “Parerga e paralipomena”. E anche Mach (“L’analisi
delle sensazioni e il rapporto tra fisico e psichico”), che dice suo “principio
guida” il “completo parallelismo tra ambito fisico e psichico”. E anzi lo trova
comunque valido: “Questo principio è quasi ovvio, ma
può essere posto come principio euristico anche senza il sostegno di questa
concezione di base”.
Dio – Poe, “Marginalia”, CXLV, cita un
altrimenti ignoto Bielfield: “Pour savoir
ce qu’est Dieu, il fau être Dieu même”, bisogna essere dio per concepirlo.
“Ragionare
intorno alla ragione”, prosegue-commenta Poe, “è di tutte le cose la più
irragionevole”.
Dionisiaco
–
È, all’origine, di genere – femminile. Bisognava pensarci, Nietzsche ha
toppato. Avrà ben conosciuto Euripide e le “Baccanti”, poiché ne parla nella “Nascita
della tragedia”, ma era ancora Ottocento, vecchio stile, che come Schopenhauer
le donne trattava con la frusta, o come il suo Zarathustra (“Vai dalle donne? Non dimenticare la frusta!”) – donne
nel suo caso per lo più figurate, immaginarie. Il dionisiaco è femmina.
Dioniso è del resto Dio, lo dice il nome
stesso. Che sempre più è femmina.
Giustizia
–
L’ingiustizia Schopenhauer assimila al cannibalismo – in un passo noto del “Mondo
come volontà e rappresentazione” che però si trascura. “L’ingiustizia si
esprime in concreto nel modo più compiuto, più caratteristico e più
tangibile nel cannibalismo: questo è il
suo tipo più chiaro e più evidente, l’orrenda immagine del massimo contrasto
della volontà con se medesima, nel grado supremo della sua oggettivazione, che
è l’uomo”.
Ironia - L’ironia
dissecca se è da falsari: se sa di artefatto. È allora la voce di naso, con la
erre moscia.
Mito – Si rilancia
(si studia) nei periodi di guerra, e la mitologia “è stata ed è un progetto
tanto profondamente inciso da modalità di guerra o di lunghissimo episodio di
una guerra, da presentare le caratteristiche peculiari di un’iniziazione”. È la
peculiare conclusione con cui Furio Jesi apre la sua introduzione a Nietzsche,
“La nascita della tragedia”, 1980. “Non è estetismo sottolineare questa
metaforica bellica”, si difende Jesi. Che documenta così l’osservazione: “«La
nascita della tragedia» è un libro composto durante la guerra franco-prussiana
del 1870-71; le «Considerazioni di un impolitico» durante la prima guerra
mondiale; il «Doctor Faustus» durante gli ultimi anni della seconda e nell’immediato
dopoguerra. Anche le «Tesi di filosofia della storia» furono scritte in tempo
di guerra, 1939-40, e bisognerebbe essere sordi per non cogliervi echi di
guerra”.
Ma
sono tutti casi e autori tedeschi, Thomas Mann e Benjamin in aggiunta a
Nietzsche: il mito è tedesco? o il mito in tempi calamitosi?
Nietzsche – “Warum ich so weise bin” è il primo testo di “Ecce homo”, perché
sono così saggio. Seguito da “Warum ich
so klug bin”, che Calasso traduce “Perché sono così accorto”, ma è meglio astuto
– l’americano smart.
Poeta – È per Kierkegaard, “Timore e
tremore”, “il genio della memoria”. Non un esploratore, alla ricerca del nuovo,
ma un custode, avvertito. “Egli non può fare nulla, solo ricordare, solo
ammirare ciò che fu fatto”. Questo potrebbe spiegare la cattiva resa delle avanguardie,
al di là delle poetiche, le dichiarazioni di principio.
Il poeta Kierkegaard
vuole un compagno, non l’eroe: “Questa è la sua missione, un umile fedele
servitore dell’eroe. E se rimane così fedele al suo amore, se lotta notte e
giorno contro l’astuto potere
dell’oblio, che vuole rapirgli il suo eroe, allora egli ha compiuto la sua
opera”. Ma non ancillare: “Il poeta è per così dire l’io migliore dell’eroe,
certo privo di forza come lo è un ricordo, ma anche trasfigurato come un
ricordo. Perciò nessuno che fu grande sarà dimenticato”.
Paradossale – È l’espressione, la
riflessione? R. Barthes, “Il brusio del linguaggio”, 74: “Il Testo
tenta di porsi molto esattamente dietro il
limite della doxa (l’opinione
corrente…. ); prendendo la parola alla lettera si potrebbe dire che il Testo è
sempre paradossale”. Così la
filosofia, la riflessione del mondo – dell’esistenza, dell’essere.
Politeismo – Non è mutato col Dio
Unico? Le astrazioni del Dio unico riflettono la confusione e le perplessità che
i tanti dei impersonava nel politeismo. Mosè del resto, l’inventore e
condottiero del monoteismo, era pure lui
confuso. Almeno a giudizio di Poe, che sapeva di ebraico (“Marginalia”, § CXXVIII):
“Nel breve racconto della creazione, Mosè impiega le parole Bara Elohim (gli Dei creava) non meno di
trenta volte usando il sostantivo al plurale e il verbo al singolare” Nel Deuteronomio,
invece, il sostantivo è usato al singolare, Eloah.
Romanzo – “Platone ha dato alla posterità
il modello di una nuova forma artistica, il modello del romanzo”, è una delle divagazioni di Nietzsche (la prima opera
vuole dire tutto) all’interno della “Nascita della tragedia”, § 14: “Una favola
esopica infinitamente sviluppata”.
zeulig@antiit.eu
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