Contemporaneità – È eversione
costante, di cui la riflessione tarda a distinguere sostanze e contorni,
contesti. Che si produce tuttavia per atto di volontà, sia essa benefica oppure
catastrofica. E quindi di riflessione, seppure pratica, indirizzata a una
finalità immediata e circoscritta.
I
due percorsi concettuali sono distinti per la vecchia distinzione tra uomini
d’azione e uomini di pensiero. Ma non si può pensare all’azione avulsa dal
pensiero, e tanto più nell’era delle masse, non dell’impresa eroica o
individuale. La contemporaneità, il mondo in fieri, mette in luce oggi più netti
i due differenti modi di pensare e cioè di essere.
Fake – “Real news, fake President”,
titola “The Nation”. Falsamente.
Il titolo dice bene la posizione politica del settimanale, avversa a Trump. Ma
un Presidente eletto non è fake – un
presidente americano ha poteri enormi, compresa la guerra atomica. Fake è falsità
e impostura naturalmente, ma con connotazioni, dice il Roget’s Thesaurus, di copia,
imitazione, impostura. L duplicità mentale, l’imbroglio, l’impostura vengono di
rincalzo.
Delle
notizie è il tema del giorno: la costruzione di false notizie. Fake ne
dice meglio la natura: ma allora è la vecchia dinsiformacija, detta così, in russo maccheronico, in epoca di guerra
fredda, per dire l’attività dei servizi segreti russi. Detta così dai servizi
segreti occidentali, che ne facevano altrettanto uso.
Opera
del demonio dunque, la disinformacija,
meglio se russa? Ma anche della confusione mentale. E dell’impossibilità o
scadimento della funzione critica. Proprie entrambe delle comunicazioni di massa.
Per un senso, per di più, di comunione, di identificazione in un gruppo, come
la pubblicità ben sa: l’informazione condivisa, perfino omertosa, secretive, fa aggio su qualsiasi
elemento o genere di verità – l’autorevolezza (studi o conoscenze, personalità,
anche censo, eredità, formazione), la funzione pedagogica (“siamo anti
imparati”), la volontà o bisogno di imparare.
Guerra umanitaria – È un
ossimoro. Anche la guerra giusta.
Infinito – È una
categoria del pensiero, è il pensiero.
Isacco – Se il nome
significa “colui che rise”, il coltello del padre Abramo puntato alla gola, non
è perché stava per vanificare d’anticipo tutto il freudismo?
Memoria – È un
esercizio, interminabile. Anche quando è conclusivo. È una novità, resta sempre
fuori. È il riassetto delle novità emergenti, fluttuante, in perpetua mozione, mai
definitivo.
È
realtà tipicamente delebile. Anche oggi, che degli eventi si potrebbero fare,
grazie all’elettronica, degli annali quasi in copia. E non c’è se non di carta.
E ancora, dacché la carta è fatta di cellulosa del legno, deperibile in
settanta-ottanta anni, di carta acid free.
Tutti i supporti elettronici sono diventati presto perenti, specie quelli delle
immagini, e sono comunque soggetti a usura rapida e cancellazioni improvvise, inevitabili.
Nonché
non poter essere trasmessa “integralmente”, con la diffusione elettronica delle
immagini, i dati, le riflessioni, quella che è il fondamento della storia e
dell’umanità resta periclitante, eternamente da ricostruire.
Parole – Fanno il
pensiero – retroagiscono.
Dopo
la ricreazione postmoderna va ora la filosofia (esegesi) delle parole, in senso
connotativo: silenzio, gelosia, vergogna, dispetto, indugio.... Un pensiero delle
sfumature.
Relativismo – È relativo.
Umberto Eco ne elenca una mezza dozzina – sette per l’esattezza: il pragmatismo
di Rorty, l’olismo “alla Quine”, il soggettivismo di Kant, quello degi
antropologi, quello dei realisti, le interpretazioni di Nietzsche, e quello dei
tanti “filosofi cristiani” (“le nostre rappresentazioni del mondo non ne
esauriscono la complessità, ne sono sempre visioni prospettiche, ciascuna delle
quali contiene un germe di verità” - “Pape Satàn Aleppe”, 264). Ma altrettanto
lo è la posizione opposta nella polemica,
il “fondamentalismo”.
Stupidità – Governa –
governerà – il mondo ? Più sei stupido, più sei convinto di non esserlo è “l’effetto
Dunnig-Kruger”, i due ricercatori che lo identificarono nel 1999. Più cioè sei
convinto di essere nel giusto, e intelligente. Senza dialettica possibile.
Il
mondo dunque è degli stupidi? Si può dirlo: la stupidità è una sorta di minimo
comune denominatore dell’intelligenza – il gradino più basso se l’intelligenza
è una piramide, o comunque il livello minimo di conoscenza, in conclusiva. Ma è
inattaccabile. È questa la sua “qualità” differenziale – che la differenza dall’intelligenza.
Ogni altro modo di essere e rapportarsi è scalfibile, per convinzione o
semplicemente per buona educazione. La stupidità è un mondo a sé – si dice che
siamo alternativamente intelligenti e stupidi, ma quella è un’altra cosa, la
stupidità non fa concessioni.
Visibilità – Farsi vedere
sembra il godimento e il premio massimi cui aspirare, per l’uomo, e la donna,
della strada. La passione dell’epoca: mostrarsi, esibirsi. Anche se non si ha
granché da mostrare e sesso non si sa cosa dire. Umberto Eco ne ha fatto il
centro della riflessione da ultimo, in molte “bustine di Mnerva” orai raccolte
in “Pape Satàn Aleppe”. Un tempo si chiamava esibizionismo: non è una novità,
la novità e la sua ubiquità, in tv, sui giornali, per strada, nelle cronache.
Discutendone
con Javier Marìas, lo scrittore spagnolo gli fa balenare la possibilità che questo
esibizionismo sia un Ersatz per Dio,
ora che Dio non c’è più. Che era lo Spettatore di tutti, in qualsiasi
situazione. “Dio sa” era la formula d’uso (cosa penso, cosa ho fatto, cosa
vorrei o non vorrei, etc, “sa Dio…”. “Scomparso, rimosso, questo testimone
onniveggente, che cosa rimane?” si chiede Eco: “L’occhio della società, l’occhio
degli altri, a cui abbisogna mostrarsi”. Si spiegherebbe il ribaltamento, dalla
privatezza e anche la segretezza delle proprie cose, specie le più intime, alla
loro esibizione in pubblico, specie dei panni sporchi.
zeulig@antiit.eu
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