Ma davvero Céline ha scritto il “Viaggio al termine della notte”?
Taguieff e Duraffour rovesciano l’assunto: non come mai l’autore del “Viaggio”
è diventato antisemita, ma come è possibile che l’antisemita Céline abbia
scritto il “Viaggio”? Non dicono che non l’ha scritto, ma il senso è quello. È
uno dei paradossi della loro storia: il racconto è di Céline agente di Hitler
in Francia, che s’inventa e agita il “pericolo giudaico” e il “pericolo rosso”.
Annunciato da tempo, questo ritrato di Céline “militante
pro-nazista dell’Ordine Nuovo” s’impone antitutto per la taglia. Un libro di
1.200 pagine, di cui 500 di note, è serio. Taguieff e Duraffour sono due
specialisti di storia del razzismo e dell’antisemitismo. La loro bibliografia è
enorme. I titoli ci sono. Ma l’assunto – la domanda iniziale e conclusiva - è
insidioso, parecchio, specie al di fuori del caso Céline: la pretesa di
ristabilire “la verità storica” contro “la leggenda letteraria”, come da sottotitolo,
“Légende littéraire et verité historique”. E il libro si presenta troppo
disinvoltamente “definitivo”: Céline è da sempre antisemita, quindi
collaboratore dei tedeschi e delatore, infine iniziatore del negazionismo. In
copertina una sua foto in gruppo davanti al parigino Institut d’Études des
Questione juives. “Più di conosce l’uomo Céline, più si presi dal disgusto e
dal disprezzo”, assicurano gli autori.
Ma il compito resta da fare. Duraffour, filologa un po’
legnosa, ha letto Céline di fretta. Taguieff è nuovo filosofo un po’ troppo
giornalista. Per ora, a carico, c’è solo la denuncia, nell’ottobre del 1940,
del “medico straniero ebreo non naturalizzato” (poi corretto in “negro
haitiano, dovrebbe normalmente essere rinviato a Haiti”) Joseph Hogarth, per
prenderne il posto nel dispensario municipale di Bezons - dove Céline
effettivamente esercitò fino al 1944. Il libro è dedicato al Dr. Hogarth.
Céline è in contatto, se non ne è sovvenzionato, col Welt-Dienst
hitleriano, il “sevizio mondiale” dell’antisemitismo, perché alcuni suoi
conoscenti lo sono stati, Henry
Coston, Louis Darquier “de Pellepoix”, Henri-Robert Petit. Si fa presentare a
maggio del 1938, a Montréal, come “ospite d’onore” a un convegno delle Camicie
Blu di Adrien Arcand, politico canadese filonazista. È descritto da Jünger
nelle sue memoria parigine come un assetato di sangue ebraico - così a
dicembre 1941, all’Istituto Germanico: “Dice quanto è sorpreso che … non
impicchiamo, non sterminiamo gli ebrei” – nel dicembre 1941? Céline sapeva
della Soluzione Finale, già nel luglio-agosto 1942. Frequenta durante
l’occupazione i collaborazionisti de Brinon e Doriot, e una serie di tedeschi:
l’ambasciatore Abetz, gli ufficiali SS Hermann Bickler e Arthur S. Pfannstiel,
chiede e ottiene d’incontrare il comandante SS Karl Bömelburg, ha il sostegno e
l’ammirazione del direttore dell’Istituto Germanico, Karl Epting - autore nel
1942 di un saggio ammirato dei romanzi di Céline ma niente di più: Epting visse
indisturbato in Germania dopo la guerra. De Brinon presenta Céline a Bömelburg
come “il più utile difensore del riavvicinamento tra la Francia e la Germania
nazional-socialista” – che quindi era da fare
Céline era anche un delatore.
In quella che definisce “una leggenda”, di Céline colpevole solo “di parole”,
Durassour trova le prove della delazione. La denuncia, indiretta, tramite cioè
lettere a giornali, di Robert
Desnos, del dottor Mackiewicz, segretario dei medici del dipartimento
Seine-et-Oise, di Serge Lifar, e a un’assembela doriotista della dottoressa
Howyan, sua collega nel 1940 al dispensario di Clichy, dove allora Céline
esercitava.
Terzo, Céline è l’iniziatore
della polemica negazionista. Già nel 1950 ne enuncia i temi: la favola delle
camere a gas, la propaganda semita, i tedeschi vittime degli Alleati
(bombardamenti) e dell’Armata Rossa (saccheggi, stupri). E la pratica nella
Trilogia del Nord: “Da un castello all’altro”, “Nord”, “Rigodon”. Nonché in
lettere, testi occasionali, interviste.
Tutto questo attaccando Céline a Wagner e a Schopenhauer. Alla
giudeofobia religiosa o cristiana. A quella antireligiosa dell’illuminismo,
Voltaire, D’Holbach. A quella anticapitalista, da Marx a Sombart. A quella
razziale e nazionalista. All’antisemitismo propriamente detto, di Rosenberg e Hitler.
La prima parte situa peraltro Céline nell’“ondata antiebraica degli anni 1930”.
Di Céline non resta nulla. Ma
sono tutte cose, al suo posto, che il lettore non sa avallare. Il librone
procede con l’enfasi dell’errore giudiziario, che accumula materiali su
materiali in assenza di un fatto netto, fin dall’introduzione. Molto è
ricostruzione, quasi tutto in un contesto non storico – è vero che la storia
dell’Occupazione tedesca a Parigi non si fa, ma molto è noto.
Céline resta quello che era.
Uno che non era antisemita e lo è diventato. Per il suo pacifismo, che gli ha
fatto vedere pericoli ovunque, anche con gli occhiali dei “Protocolli di Sion”.
È pure vero che un francese negli anni 1930, anche del Fronte Popolare del
detestato (da Céline) Léon Blum, non aveva bisogno di Hitler per essere
antisemita - questo il volume lo documenta. Ma del tutto improbabile “agente
d’influenza” della Germania: Céline è sempre l’anti-boche della prima guerra, il mangiatedeschi
– è il filo della Trilogia del Nord, non il negazionismo.
Anche se l’antigermanesimo è ambivalente – nella fine analisi che Jankélévitch
ne fatto in “L’imprescriptible” (“Personare?”), “L’ammirazione malsana del
militarismo tedesco, dell’ordine tedesco, della scienza tedesca… faceva il
fondo del vecchio complesso germanofobo”.
Hermann Bickler, che lo ha
frequentato molto da compagnon durante l’occupazione, ha
lasciato delle memorie, di cui una parte è stata pubblicata in Germania, che ne
fa il ritratto forse più convincente: “Un realista triste. Che importa se questo
proveniva dalle origini celte di questo originario della Bretagna, oppure dai
suoi anni di familiarità col lato buio dell’esistenza umana”. Nella pratica
medica quotidiana, nei problemi fisici residuati della guerra, nello squallore
della vita privata – nell’appartamentino di Montmartre che Bickler pure
idoleggiava: “Appariva a volte in quei momenti, all’immagine dei suoi libri,
come un cinico crudele. In realtà, era caloroso, e poteva in quanto amico
essere di una cordialità incomparabile. Ma non si faceva illusioni sugli umani”.
Pierre-André Taguieff, Annick Duraffour, Céline,
la race, le Juif, Fayard, pp. 1.182 € 35
Nessun commento:
Posta un commento