Viviamo in un regime postdemocratico, costruito
con sapienza – Formenti dice in una guerra civile – contro il lavoro. Bisogna bloccare
questo bulldozer, ribaltarlo. Il populismo è benvenuto, poiché i partiti
politici della stessa sinistra sono parte di questo attacco al lavoro. Solo
bisogna riconvertirlo a un’azione di sinistra.
Formenti, già di Autonomia Operaia, teorico
post-marxista del plusvalore nell’era digitale, ipotizza un “sano” populismo,
di sinistra. Che abbatta coi simulacri politici – i partiti – la stessa ideologia
del liberismo, che pretende di moltiplicare le risorse, mentre invece le
distrugge. Come arrivarci Formenti non dice, se col protezionismo, e quindi a
che costi. Ma l’assunto politico è semplice e inattaccabile: il lavoro ha perso
tutte le difese che si era costruite in un secolo e mezzo, l’economia è debole
e malaticcia. Non c’è più alcuna rete di sicurezza, e le paghe ristagnano: il reddito
e le aspettative si contraggono, il liberismo esclude e non include.
La diagnosi non è isolata, rientra anzi in un trend già robusto. Da molti viene
contestata la correlazione tra l’insorgenza nazionalista o identitaria col
liberismo. Ma questa insorgenza c’è, ed è più forte nei due paesi guida del
liberismo, Usa e Regno Unito. Di quel che si chiamava il ceto medio. Che,
impoverito e proletarizzato, ha ingrossato a dismisura e soprattutto rianimato
il mondo degli esclusi, tendenzialmente remissivo e estraneo al processo
politico. La sua reazione è stata evidente e vincente
nel referendum britannico sull’Europa, e poi nel voto per Trump. Confusa, contraddittoria,
tutto il peggio che si vuole, ma robusta. E a sentire i sondaggi duratura, non
pentita.
Formenti, lui come ogni altro, nonché il
problema dei costi, non si pone neanche quello della globalizzazione: se non è
giusto l’accesso del Terzo mondo, i quattro quinti dell’umanità, al processo
produttivo, e cioè alla ricchezza, mondiale. Poiché è di questo immenso Terzo
mondo che il liberismo si è fatto e si fa scudo per disorganizzare il lavoro.
Formenti, inoltre, continua l’uso improprio del
concetto di “egemonia” di Gramsci. Che lega, surrettiziamente, alla massa, al numero
- un tempo si sarebbe detto alla classe. Mentre è una nozione complessa, che fa
largo posto all’intelligenza (un tempo la critica), la formazione, l’inventiva,
l’iniziativa.
Ma è certo che la globalizzazione e l’egemonia non
possono darsi - continuare a darsi - a scapito della democrazia sociale, e della
democrazia tout court: il populismo non viene dal nulla (un tempo si sarebbe
detto: sarà fascista se non sarà socialista).
Carlo
Formenti, La variante populista,
DeriveApprodi, pp. 288 € 20
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