Trump porta
alla crisi, da destra, la deregolamentazione che, da sinistra (Clinton e Obama,
Tony Blair), è stata concessa alla finanza e imposta al lavoro. Estendendola,
da destra, ai settori che la sinistra aveva invece regolamentato, l’ambiente e
la salute. E arginerà, da destra, la globalizzazione che la sinistra aveva
voluto.
Un
rovesciamento reazionario? Non nei fatti: è da tempo che il liberismo distrugge
risorse invece di crearle. Ha rarefatto il reddito, concentrandolo invece di
diffonderlo. Non ha creato occupazione e domanda. Non ha creato né protetto il
mercato – il consumatore-utente. Ha moltiplicato le incertezze: nel lavoro, nel
commercio, nel bilancio pubblico – quella del commercio, trascurata, è
probabilmente la più insidiosa: nessuno paga più nessuno. Aggressivo e rozzo
più che suadente, come aveva saputo – e sa ancora quando lo vuole, non solo per
i media, i soli sorpresi dal fenomeno Trump – essere. In più casi che non, distrugge
reddito, produzione, produttività. E quindi salute e assistenza – la sicurezza,
la fiducia. Nel nome di una competitività che non c’è, solo sacche alluvionali
di rendita, improduttiva. Che l’innovazione non riesce a colmare e
sopravanzare.
Massimo
sostenitore del liberismo resta il partito Comunista cinese. Massimo
antagonista il presidente degli Stati Uniti Trump, insieme con la Gran Bretagna, le
due forze che il liberismo hanno imposto. Le parti sono rovesciate. Ma dove è
la reazione a questo punto, in una bilancia universale, è inutile cercarlo: il
progresso è cambiare, marcia, mezzi, scopi.
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