Nell’edizione
curata dallo stesso Jankélévitch nel 1971, la raccolta s’intitola “L’imprescriptible”.
Si compone del saggio intitolato “Perdonare?”, 1965, da cui il titolo italiano,
sulla imprescrittibilità dei crimini contro l’umanità. Di un’evocazione della
Francia di Vichy, la strana pace sotto l’occupazione tedesca, e della
resistenza, “Nell’onore e nella dignità”, un testo pubblicato nel 1948 sulla
rivista di Sartre, “Les Temps Modernes” . E di due brevi discorsi sulla
resistenza, tenuti in ambito accademico in occasioni celebrative.
“Perdonare?”
è un’invettiva contro la Germania, sdegnata ma argomentata. Pensatore e
polemista, uomo d’azione e di organizzazione, molto attivo nella Resistenza,
poi strenuo paladino di Israele,
Jankélévitch
si era appena segnalato per il saggio “Perdonare”, per il quale resta più famoso,
sull’“assoluto della legge dell’amore”. Ma sapendo pure che “il perdono è forte
come il male, ma il male è forte come il perdono”. È il caso della Germania, dice,
contro la quale la requisitoria è molto viva.
Jankélévitch
non è mosso dal nazionalismo, francese o sionista. Lo sdegna la mancata
elaborazione del lutto in quel paese, se non in forme sbrigative e perfino
revansciste. L’albagia e l’ipocrisia, di Heidegger segnatamente e della gente
comune. L’incapacità di dire mi pento: “Ci hanno mai chiesto perdono?” è uno
dei capitoli. L’assurda pretesa di comprarsi l’assoluzione, con qualche
restituzione e qualche pensione. Senza mai rivivere lo sterminio deliberato di
ebrei, slavi, nomadi. Il genocidio è imprescrittibile perché inespiabile. Ma se
non si prova nemmeno a espiare – “ci sono molto pochi innocenti fra questi
milioni di tedeschi muti o complici”?
Non
c’è preconcetto, è una constatazione. In più punti Jankélévitch non sa
spiegarsi la cosa: “Che un popolo bonario sia potuto divenire questo popolo di
cani arrabbiati, ecco un soggetto inesauribile di perplessità e stupefazione”.
Ma non allenta la polemica: “Ci si rimprovererà di comparare questi malfattori
ai cani? Lo confesso, in effetti: la comparazione è ingiuriosa per i cani”. Questo
perché non c’è contrizione, non c’è analisi seria di come sia potuto accadere:
“Aspettiamo ancora il gesto solenne di riparazione o di sconfessione che una
così terribile responsabilità morale imponeva agli intellettuali tedeschi, ai
professori tedeschi, ai filosofi tedeschi, e anche (ho voglia di ridere) ai
«moralisti» tedeschi”.
Lo
sdegno va ancora più in là, alla credibilità del pensiero tedesco. Analizzando
Vichy, la rassegnazione e anzi la spensieratezza dei francesi nei quattro anni
di occupazione, Jankélévitsch ne fa l’effetto di una manomissione di lunga
data, logica e etica: “Il vecchio machiavellismo tedesco, specializzato da
sempre nell’interversione dei contraddittori, ha giocato da virtuoso”.
Il
dibattito sulla prescrittibilità dei crimini nazisti si tenne nel 1965, a
vent’anni dalla fine della guerra. Il parlamento francese poi votò per l’imprescrittibilità.
Analogo dibattito in Germania si risolse allungando la prescrizione di cinque
anni, al 1970. Poi, nel 1969, poco prima della scadenza, un nuovo prolungamento
fu deciso, di dieci anni: la Colpa sarebbe
durata quindi fino al 1979.
Entrando nel fatto, in effetti, la cosa
appare incomprensibile, e quindi sospetta. La Germania avrebbe potuto ragione a
Jaspers, che il crimine contro il genere umano, imprescrittibile, aveva decifrato.
Senza danno. Ma sarebbero stati liberi subito per sempre, e allora si sono dati
un nuovo termine. Seguivano il magistero del dottor Kiesinger, il cancelliere
ex nazista, buon cristiano, secondo il quale c’è un crimine maggiore e uno
minore, un milite SS non è Himmler. Fu così che i tedeschi, che si
erano liberati con la denazificazione, cancellarono la macchi o nuvola
all’orizzonte.
La Colpa in sé è
discutibile. Bisogna stare con la filosofa Salomé, con “la prevenzione innata contro
ogni sentimento di colpevolezza”. Ma non dopo Hitler. La Germania invece non fa dell’Olocausto un humus, un
terreno di coltura: niente ne germoglia, una filosofia, un dramma, un romanzo.
E col tempo lo porrà, è inevitabile, nel conto della storia, del dare e avere.
È il succo dell’argomentazione di Jankélévitch. Il dibattito sulla
prescrittibilità fu molto polemico. Le obiezioni furono dure: neppure
l’Olocausto è imprescrittibile, si disse, che dire allora della Bomba Usa,
voluta da fisici ebrei? È il rischio che Jankélévitch denuncia nella breve
introduzione: “L’antisionismo è l’antisemitismo giustificato, ma infine alla
portata di tutti, è il permesso di essere democraticamente antisemita. E se gli
ebrei fossero essi stessi nazisti? Sarebbe meraviglioso. Non sarebbe più
necessario compiangerli, avrebbero meritato la loro sorte”. Che è mettere le
mani avanti, sulla storia successiva di Israele, ma non del tutto a torto. L’Europa
è a più velocità per molti modi, principale il modo d’essere.
L’equivoco di Jaspers, si può aggiungere, che la colpa aveva
classificato nel dopoguerra, apre la
scorciatoia, della colpa che è individuale e non “collettiva morale” né
“collettiva metafisica”. Certo che no, ma in tribunale, non nella vita né in
filosofia. L’onere non era minore, farsi laboratorio di un’altra umanità. Ma la
Germania ha voluto restare la stessa, solo più ordinaria, legata al marco
invece che alla filosofia. Resta figura retorica il “fratello Hitler” di Thomas
Mann malgrado la straordinarietà, priva
di senso reale. I tedeschi ebrei si direbbero morti tedeschi, ma le morti non
hanno lievitato, nessun tedesco s’aggira nei campi o se ne impregna. Gottfried
Benn, che ha la stessa biografia di Heidegger, e in più è l’ultimo uscito dalla
Pepinière, l’accademia prussiana gratuita dei medici militari, è divenuto dopo
Hitler il Poeta della Nazione, premio Büchner. La colpa di Heidegger è questa,
che il suo metodo rivoluzionario, pensare il pensiero, ha trascurato - per
primo bisogna dire, per dare la misura dello uomo e del metodo – questa nuova
possibile storia. L’ha azzerata: nel suo gergo: poiché non se ne parla,
l’Olocausto non è.
Vladimir
Jankélévitch, Perdonare?
Nessun commento:
Posta un commento