Tre lezioni sull’insegnamento, in un
arco di quasi mezzo secolo. Quella del titolo è un conferenza alla Sorbona, nel
1895. Un intervento all’Accademia nel 1923 è a favore dell’insegnamento del
latino e greco: “Un declino, e a maggior ragione la cancellazione di questi
studi, ci farebbe nel mondo un torto irreparabile”, lo farebbe alle culture figlie
della classicità. Non solo la lingua, anche la letteratura e le arti
s’innestano nella tradizione, e più in generale il modo d’essere e pensare,
reagire, agire. Un assunto perfino ovvio, non si può sradicare una cultura,
come nessun altro organismo vivente, eppure… Una conversazione alla radio nel
1934 enuclea il proprio della filosofia francese nell’accostamento con la
scienza, e non nell’opposizione, da Descartes e Pascal, e a un nutrito parterre tra Sette e Ottocento.
Il buonsenso si lega alla concezione
della cultura come modo di essere e di agire. La ricetta è semplice: “L’educazione
al buonsenso” punta ugualmente a “liberare l’intelligenza dalle idee ricevute”,
come “dalla idee semplicistiche”, ma anche “a bloccarla sulla china scivolosa
delle deduzioni e delle generalizzazione” – dalla troppa, si direbbe,
intelligenza. Dell’intelligenza Bergson ha un’idea precisa, come quella che
conosce la materia e insieme vi interagisce - che meglio spiega in riflessione
apposita, “La Pensée et le Mouvant”: “Che cos’è l’intelligenza? La maniera
umana di pensare. Ci è stata data, come l’istinto all’ape, per dirigere la nostra
condotta… Precisa o vaga, è l’attenzione che lo spirito presta alla materia”.
“Il buon senso” di Bergson “è nella vita
pratica ciò che il genio è nelle scienze e nelle arti” – per genio intendendo
l’invenzione, l’innovazione. Qui tratta il buonsenso in riferimento agli studi
classici, “se gli studi disinteressati hanno efficacia pratica”. La risposta è ovviamente positiva, poiché
forgiano il carattere, e cioè la base dell’equilibrio della persona e
dell’attività bene indirizzata. Ma con paletti. Il buonsenso è minacciato
dall’istruzione: “Il più grande rischio che l’istruzione può far correre al
buonsenso sarebbe d’incoraggiare la tendenza a giudicare uomini e cose da un
punto di vista puramente intellettuale”. L’intelligenza serve, ma “la vita
reale” è più complessa, “è rivolta verso l’azione”.
La perorazione per le ligue classiche
Bergson condisce con la sua esperienza, all’epoca, di insegnante dei licei:
“Una riforma pedagogica è nello stesso tempo una esperienza pedagogica”. Questo
avveniva all’indomani della riforma del 1891, che aveva sdoppiato i licei,
introducendo quello senza studi classici. Lo sdoppiamento apre un abisso: le
lingue classiche “svilupano lo spirito di precisione”. Il filosofo conviene che
non si può pretendere di fare di tutti i giovan dei classicisti, neppure degli
studiosi, ma si chiede: perché la scuola dovrebbe rinunciare al meglio?
Henri Bergson, Le bon sens ou
l’esprit français, Mille-et-une-nuits , pp. 77 € 3,50
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