Giudici – “Statemi a sentire”, dice
Michael Ledeen di aver detto alla Casa Bianca la notte di Sigonella, quando i
marines non riuscirono a prendersi Abu Abbas, il pirata dell’“Achille Lauro”: “Da
molto tempo abbiamo sul libro paga alcuni giudici di Roma. Chiamiamoli,
svegliamoli, chiediamo un mandato di arresto, sbattiamo Abu Abbas in galera”. Ledeen,
storico del fascismo, è, si vuole, un manipolatore delle cose italiane, specie
di quelle segrete. Lo dice a Alan Friedman.
Friedman se lo fa dire, nel suo ultimo libro,
“Questa non è l’America”, appena poche righe prima di dichiarare che l’Italia è
sconosciuta a Washington, e che Washington non se ne cura. Specie della psicosi
italica del complotto.
L’allusione di Ledeen è probabilmente a Di
Pietro, allora non ancora protagonista, che Friedman non ama. E Ledeen è quello
che è, in parte sicuramente un mitomane. Ma non del tutto. E parla ora da
vegliardo, attesta Friedman, un po’ recluso in famiglia, a 75 anni. Ma due anni
fa prese la penna per tessere sul “Wall Street Journal” l’elogio di Mattarella,
che da ministro della Difesa aveva ben lavorato alla guerre contro la Serbia
per il Kossovo. E un anno fa è venuto in Toscana al matrimonio di Marco Carrai,
l’amico di Renzi, in qualità di testimone.
Globalizzazione
– È
italiana all’origine: divisata e preconizzata, e anche avviata, da italiani. Da
Marco Polo e Cristoforo Colombo. Così la delinea Michelet nel primo corso sulla
storia della Francia al Collège de France nel 1940 – quello celebre in cui
conia e impone il Rinascimento, la parola e il concetto (nel mentre che fissa
il Medio Evo, forse indelebilmente, come “quel mondo bizzarro e mostruoso,
prodigiosamente artificiale”). Il Rinascimento Michelet dice la vittoria del
popolo sulla monarchia e le nazioni (che diventerà nella seconda lezione, il 9
gennaio 1840, “La vittoria dell’uomo su Dio”). E indica in Marco Polo
viaggiatore in Cina e in Colombo scopritore dell’America gli araldi di un mondo
aperto.
Preti – Mantengono un che di tartufesco, e non si
capisce perché. La chiesa li vuole
separati. Per abito talare, celibato e linguaggio. Soprattutto per il linguaggio, dalle
forme alle formalità, le tonalità, il modo di porgere, atteggiarsi, guardare,
che perfino nei giovani preti e più moderni, perfino nei talk-show a cui pure
ambiscono, è sempre stranamente cerimonioso e disimpegnato. o.
La chiesa si Roma è in questo l’unica
confessione avvinta ai riti, ai ruoli (sacerdozio, celibato...), e al
linguaggio ieratico, fuori della norma. La confessione della separatezza. I sacerdoti
cattolici non vivono con gli altri e non parlano come gli altri – la serie tv
“Don Matteo” funziona perché propone una realtà contraria.
Non si può dire che non pensano come gli altri –
i laici – perché non è possibile. Ma allora tanto più non si vede che non
possano dirlo come chiunque altro. Se non in forma di birignao, sguardi bassi,
allusioni, il tutto in formule confezionate. Lo stesso papa Francesco, che si
vuole stia abbattendo tutti i rituali anacronistici, parla e si muove da
vecchio prete. La singletudine non spiega più l’eccezione E dunque?
La
narrativa che Sorrentino ha voluto farne in “The Young Pope”, della vita quotidiana
del prete, sia pure pontefice, nasce da questa alterità. Ne fa tesoro, mostrando
un prete-papa come tutti gli altri. Un reintegro del sacerdozio nella vita
comune. Uomini e donne che s’incontrano naturalmente. Potenti e non. Laici e
religiosi. Preti e madri, o donne in carriera. Come è nella realtà nella vita
di ognuno, compresi i preti.
È una concezione meno sacerdotale del sacerdozio? Non necessariamente: la
chiesa lo mantiene ieratico e separato senza ragione.
Storia – È europea. Nasce come
disciplina e metodologia nel Settecento – a Oxford e Cabridge un secolo prima,
nel 1922 e nel 1927.
Terrorismo
– Si
tagliavano gole, si facevano esplodere automobili col telecomando nella folla,
si lanciavano automobili contro i passanti: tutto l’armamentario del terrorismo
islamico, meno i kamikaze, sono stati in già in Irlanda e in Inghilterra. Tra
l’Ira, Irish Republican Army, i suoi “provo”, e i lealisti di Belfast, tra essi
i Macellai di Shankilll. Declassati a “Troubles”, disordini, ma sanguinosi. Per
un trentennio circa, fino a vent’anni
fa.
Trangender
– La
prima scuola al mondo per transgender è stata aperta in India dalle suore
carmelitane nel Kerala. E presto chiusa, per mancanza di iscrizioni.
La scuola, chiamata Sahaj, è stata inaugurata
il 30 dicembre. Aveva dieci iscritti, e intendeva partecipare ai corsi di
istruzione online patrocinati dal National Institute of Open Schooling, e fornire addestramento professionale ai trans
dai vent’anni in su. La prima scuola del genere in India, e forse al mondo.
Dopo tre mesi, risulta senza insegnanti, e senza più iscritti: quelli originari
hanno lasciato mancando insegnanti e programmi. Sahaj funziona ora solo da dormitorio.
Sei suore avevano invitato l’attivista trans Vijayaraja Mallika, molto nota nel Kerala, che da tempo prospettava
un’iniziativa del genere, a organizzarla. Ma Mallika non ha fatto nulla.
astolfo@antiit.eu
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