Si può dire dei populisti, di
destra di sinistra o solo arrabbiati, quello
che Benedetto Croce diceva dei radicali che scalpitavano all’interno del suo partito Liberale: “Non sanno quello che vogliono, ma lo vogliono subito”. Questo
non esime dall’occuparsene. Tanto più che, pur non sapendo quello che vogliono
e poco di altro, sono al governo negli Usa, nientedimeno, e in Polonia, e potrebbero
esserlo a breve in mezza Europa, a partire dalla Francia fra un mese o dall’Olanda,
o dall’Italia fra un anno. Il fenomeno qui studiato è già imponente, anche
elettoralmente.
Uno studio econometrico della politica
non è agevole – chi vive a Roma potrebbe anche dirlo presuntuoso: il populismo
è un’infatuazione, superficiale. Le banche dati compulsate per questo studio
offrono una serie rilevantissima di indicazioni: orientamento politico,
propensione al voto, fiducia nei aprtiti, reddito, occupazione, livello degli
studi. Ma è difficile metterli in rapporto col voto populista di protesta, che è per o più istintuale.
Trovare loro delle costanti, delle determinanti. Ma qualche regolarità i quattro studiosi
riscono a individuarla.
Tutte le offerte politiche populiste
sono centrate sull’immediato, evitando di prospettare i costi di lungo periodo, o nascondendoli.
È un fenomeno che attrae chi ha studiato di meno: più sono gli anni di studio, minore
è il richiamo populista. Il populismo appare quando l’insicurezza economica e la
sfiducia nei partiti si combinano: l’esito è l’astensione dal voto e\o la scelta
delle “soluzioni semplici”, che lo studio sintetizza come “politiche protettive
di breve termine senza riguardo per i costi a lungo termine”. L’astensione
mitiga la deriva populista - fino a un certo punto, poi la diga si rompe.
Dal punto di vista dell’“offerta”,
questa si rafforza quando la politica si frammenta, e dove le istituzioni sono
deboli. D’altra parte, nell’immediato, s’instaura una dialettica che favorisce
l’allargamento del populismo: la risposta dei partiti tradizionali non può che
fare propri anche i richiami populisti, “per ciò stesso ingigantendo l’offerta
aggregata di politiche populiste”.
Come dire: il populismo è un morbo, ma
quando si è installato non è possibile evitarlo – ci si può vaccinare prendendone
a piccole dosi.
Uno studio originato e svolto per il romano
Cepr, Center for Economic Policy Research, da quattro economisti: Luigi Guiso
dell’Einaudi Institute for Economics and Finance di Roma (Eief), e del Cepr,
studioso dell’impatto econmico dei fatti culturali, Helios Herrera
dell’università di Warwick, Massimo Morelli (Bocconi e Cepr) e Tommaso Sonno
(Cattolica di Lovanio).
L.Guiso, H.Herrera, M.Morelli, T.Sonno, Demand and supply of populism, free online
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