“Fare
a fette” la storia non è macelleria convincente, si sa. Le Goff, paladino del
Medio Evo contro il discredito che lo ha colpito per tutto il Novecento, ha voluto
dare come lascito l’ennesima contestazione di questo purgatorio. Prendendola
alla larga, con l’ennesima riflessione sulle “diverse maniere di concepire le periodizzazioni storiche: le
continuità, le rotture, i modi di pensare la memoria della storia”. Dalle sei età
di sant’Agostino, alle quattro di Daniele della Bibbia, Giacomo da Varagine,
Voltaire.
L’autore di “Un lungo Medio Evo” è sempre dello
stesso parere: il Medio Evo non è una parentesi nella storia bella e
progressiva. Anzi, è tutta la nostra storia, di noi europei e occidentali, a
partire dal III secolo dopo Cristo fino al Settecento. Se non che: la
continuità fa aggio sulla novità? Lo steso Le Goff, tutto meno che dogmatico,
si fa spiegare la periodizzazione in questi termini dallo storico americano
della filosofia George Boas: “Ciò che chiamiamo periodi corrisponde semplicemente
alle innovazioni influenti che si producono costantemente nella storia”.
È una falsa questione: la periodizzazione della
storia si può aggiustare. E “farla a fette” alla fine – come si domanda il
titolo originale - risulta comodo e anche significante. Ci sono persistenze, e ci sono anticipazioni. Si
può trovare oggi una figurazione (immagine, giudizio, pregiudizio, saggezza) del
Medio Evo, e nel Medio Evo propriamente detto figurazioni di oggi, c’è continuità
nella storia. Ma con caratteri prevalenti rispetto ad altri, che è opportuno
tenere a mente.
L’ultimo saggio di Le Goff è un bel racconto
sulla storia, come i tanti suoi precedenti. È anche una rappresentazione dello splendore
italiano come ci siamo da tempo dimenticati, in questa Italia delle Seconde,
Terze e Quarte Repubbliche, dei mafiosetti a miccia corte invadenti. Attraverso
menti robuste: Michelet, Burckhardt, Kristeller, Garin, Panofsky, Delumeau.
È pieno anche di notizie. La storia di come nasce
e prende piede la parola e la nozione di Rinascimento, a partire da Michelet,
gennaio 1840. Lo stesso Michelet che è l’autore della damnatio del Medio Evo:, come “quel mondo bizzarro e mostruoso, prodigiosamente
artificiale”. “Medio Evo” è di conio di Giovanni Andrea Bussi (1417-1475), ma è
adottato solo nel Settecento – prima si parlava di “feudalità”, fino a Leibniz
e Rousseau. “Umanesimo” non ha corso prima di metà Ottocento, in Prodhon, 1844
- prima, forse, in Germania, ma “Umanisti del Rinascimento” è titolo del 1877.
Jacques
Le Goff, Il tempo continuo della storia,
Laterza, pp. 156 € 15
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