Un’esistenza mediocre in forma di
ossessione per le forme steatopigie. L’esistenza di un giovane ricco, con automobile
fuoriserie, e incarico d’insegnamento al liceo. Che insegue i fianchi opimi dell’allieva indifferentemente,
“Spadoni”, e della collega sposata.
Con due note, di Silvia Perrella e di
Guido Davico Bonino. Mazzaglia è autore su cui molti, da Caproni a Walter Pedullà
prima di Davico Bonino, giurano. E questo “Ricordo” sarebbe il suo capolavoro.
Ma l’aneddoto non è granché. E la prosa è desueta, forse volutamente - dopo
Pizzuto l’innovazione linguistica è d’obbligo in Sicilia. Ma è maldestra.
Il racconto è tutto qui, la fissa per la
donna robusta. Per nulla osceno, come Mazzaglia solitamente è presentato dopo
questa prova. C’è astio nell’ossessione del suo narratore, contro se stesso e
contro l’oggetto della passione – quando è in foia ha “la nausea”. E ritenzione:
non succede mai nulla, giusto involontari sfioramenti. Non è nemmeno la storia
pruriginosa del professore con l’allieva: tutti sono d’accordo, insegnanti,
allieve e genitori, che l’amore se c’è si concluda presto, con un bel
matrimonio.
È un esercizio linguistico? La lingua è
circonvoluta. Con poche, alla fine, innovazioni. Anzi con una sola,
effettivamente di grande novità e abilità: i dialoghi. Dei quali Mazzaglia ha
sicura padronanza “realistica”. Il resto
è andante, con strane sciatterie. “Allibito” ricorre a ogni pagina, spesso non si
capisce in che senso. “Acre” pure. Per baciare dice “appiopparle il suggello in
bocca”. A un’allieva che chiama per cognome, a cui dà del lei, che ride di lui –
che ride, come tutte le ragazze.
Giuseppe Mazzaglia, Ricordo di Anna Paola Spadoni, Isbn, remainders, pp. 223 € 7
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