Un viaggio impossibile oggi.
Inimmaginabile. Di due donne, in macchina, attraverso i Balcani, la Turchia, la
Persia, l’Afghanistan. Senza meccanico né autista, senza guardie, senza parole
(poco persiano). Nell’estate 1939 , quando la guerra si accende. Senza mai un
incidente o un inconveniente. Di macchina sì, le forature sono quotidiane, ma
non di persona. Accolte ovunque, e in Afghanistan specialmente, presso la varie
etnie indistintamente, dai barbuti capivillaggio con senso generoso
dell’ospitalità – di “cordialità autentica”, .
Questa idea del viaggio è la parte più
attraente della raccolta. Qualche corrispondenza, ma di nessun evento, e alcuni
varchi di memoria che la scrittrice pubblicò al ritorno in Svizzera su vari
giornali, non ispirati. Il viaggio Annemarie fece in compagnia di Ella Maillart,
che ne riferirà poi con ben più sostanza in “La via crudele”. Per lei fu non un
consolidamento degli istinti vitali, per l’organizzazione e lo spirito di
avventura che comportava, ma un ritorno alla droga, facilitato dalla
reperibilità. E dalla passione violenta per Marie “Ria” Hackin, archeologa,
sposata al capo della Dafa, la Delegazione archeologica francese in Afghanistan
- responsabile degli scavi a Bagram, la località ora famosa dopo le
devastazioni dei talebani. Ma di questo non c’è traccia, se non, qua e là, nella “desolazione dell’aurora”.
È un viaggio più introspettivo che di
scoperta o avventura: “Non è necessario sperare per intraprendere, né riuscire
per perseverare”, Annemarie si dice. E più sotto la forma anodina della bella
prosa – poema in prosa, lirico, nostalgico – che della prosa fattuale, della stessa
Schwarzenbach per esempio negli Usa, o nel suo primo libro della Persia. C’è la mistica della montagna, l’Ararat,
l’Hindukush, e poco altro. Il deserto respinge, i nomadi pure, né ci sono
incontri (situazioni, figure), mancando la lingua. A parte la presentazione della
donna afghana, annientata sotto il burka, allora chiamato shadri. Vista senza la “differenza” antropologica, nella figura di
una ragazza normanna che a Parigi ha sposato un giovane promettente afghano:
una giovane ebetizzata. Una condizione detta senza trucchi, per quello che è:
una forma di schiavismo. Con forti argomenti, dalla parte delle donne, che il
multiculturalismo avrebbe difficoltà a contestare. Compreso l’uso aggressivo –
censorio, invasivo – della religione.
Annemarie Schwarzenbach, La via per Kabul. Turchia, Persia,
Afghanistan 1939-1940, Il
Saggiatore, pp. 157, ill. € 8,50
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