venerdì 10 marzo 2017

Ritrovarsi, e perdersi, a Kabul

Un viaggio impossibile oggi. Inimmaginabile. Di due donne, in macchina, attraverso i Balcani, la Turchia, la Persia, l’Afghanistan. Senza meccanico né autista, senza guardie, senza parole (poco persiano). Nell’estate 1939 , quando la guerra si accende. Senza mai un incidente o un inconveniente. Di macchina sì, le forature sono quotidiane, ma non di persona. Accolte ovunque, e in Afghanistan specialmente, presso la varie etnie indistintamente, dai barbuti capivillaggio con senso generoso dell’ospitalità – di “cordialità autentica”, .
Questa idea del viaggio è la parte più attraente della raccolta. Qualche corrispondenza, ma di nessun evento, e alcuni varchi di memoria che la scrittrice pubblicò al ritorno in Svizzera su vari giornali, non ispirati. Il viaggio Annemarie fece in compagnia di Ella Maillart, che ne riferirà poi con ben più sostanza in “La via crudele”. Per lei fu non un consolidamento degli istinti vitali, per l’organizzazione e lo spirito di avventura che comportava, ma un ritorno alla droga, facilitato dalla reperibilità. E dalla passione violenta per Marie “Ria” Hackin, archeologa, sposata al capo della Dafa, la Delegazione archeologica francese in Afghanistan - responsabile degli scavi a Bagram, la località ora famosa dopo le devastazioni dei talebani. Ma di questo non c’è traccia, se non, qua e  là, nella “desolazione dell’aurora”.  
È un viaggio più introspettivo che di scoperta o avventura: “Non è necessario sperare per intraprendere, né riuscire per perseverare”, Annemarie si dice. E più sotto la forma anodina della bella prosa – poema in prosa, lirico, nostalgico – che della prosa fattuale, della stessa Schwarzenbach per esempio negli Usa, o nel suo primo libro della Persia.  C’è la mistica della montagna, l’Ararat, l’Hindukush, e poco altro. Il deserto respinge, i nomadi pure, né ci sono incontri (situazioni, figure), mancando la lingua. A parte la presentazione della donna afghana, annientata sotto il burka,  allora chiamato shadri. Vista senza la “differenza” antropologica, nella figura di una ragazza normanna che a Parigi ha sposato un giovane promettente afghano: una giovane ebetizzata. Una condizione detta senza trucchi, per quello che è: una forma di schiavismo. Con forti argomenti, dalla parte delle donne, che il multiculturalismo avrebbe difficoltà a contestare. Compreso l’uso aggressivo – censorio, invasivo – della religione.
Annemarie Schwarzenbach, La via per Kabul. Turchia, Persia, Afghanistan 1939-1940, Il Saggiatore, pp. 157, ill. € 8,50

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