Il
titolo mima il primo e più famoso romanzo della scrittrice, “Country Girls”. A
78 anni, dieci anni fa, reduce dall’otorino, che ne statuisce la sordità, la
ragazza di campagna irlandese diventata la vamp, a giusto titolo, della swinging London letteraria anni 1960, fa
il pane, e decide di scrivere “l’autobiografia che avevo deciso di non scrivere
mai”. Con lo stesso cuor leggero. Un esercizio di autogratificazione. Ma non
immeritato, e anche di interesse per il lettore: la bellezza è una gratificazione
per tutti, e un minimo di ostentazione non guasta – Edna è stata accompagnata a
casa la notte da molte celebrità: Marlon Brando, Richard Burton, Victor Mature,
Paul McCartney, Norman Mailer, la lista sembra perfino da name dropping.
Dominano,
di nuovo, le storie della famiglia dolorose, e del matrimonio. Il “rapporto con
la madre” qui si sdoppia, con la madre uterina, la sua propria, e la
madrepatria, l’Irlanda, con cui, dopo una vita a Londra, si riconcilia e si
rifiuta, nel più classico dei rapporti sempre ambivalenti dei grandi letterati
dell’isola, da Swift in poi. Con un tocco di autenticità nell’appropriazione del
cattolicesimo beghino che è stato il suo imprinting, specie nel linguaggio: interiezioni,
riferimenti, formule, di invocazione, di scongiuro. È la cosa migliore del
libro, una lingua piena di riferimenti religiosi e quasi da sacrestia, quale è,
o era fino ai suoi vent’anni, anni 1940, dei luoghi d’origine, pregna e non revulsiva.
Cresciuta, ricorda, coi libri di preghiere e devozione, li ha conservati e li tiene
in biblioteca.
Tradizionali
anche i rapporti familiari, fonte più tristezze che di gioie, e paesani. La
madre non l’apprezza – la madre è per Edna O’Brien soggetto inesauribile, come
per molte scrittrici, per esempio Colette. Il fratello vuole assolutamente la
villona dei genitori, per lasciarla ai rovi. Le suore a scuola sono
cattivissime, eccetto una, che poi sparirà. Ai balli fa tappezzeria. L’Irlanda
è sotto la bacchetta del vescovo McQuaid, licenzioso in segreto, aspro censore
in pubblico, di libri, film, giornali, cinegiornali. I libri stranieri sono
proibiti – “Il conformista” di Moravia in
quanto “offensivo nei confronti del nostro paese”. Non si sa di Joyce, poco di
Yeats – Joyce Edna apre per caso su una bancarella, l’antologia curata da
T.S.Eliot.
Va
meglio a Dublino, dove si trasferisce a sedici ani per fare la farmacista. Comincia
a scrivere, i giornali la pubblicano, frequenta giornalisti e letterati, “tutti
joyciani”, s’innamora di un “Abelardo”, giornalista sposato con figli, e poi di
Ernst Gébler, che sposa. Un marito amatissimo ma “straniero a se stesso”, preda
di ricorrenti depressioni. La separazione, dopo due figli e dieci anni, bene o
male, di convivenza, sarà litigiosissima. Ma già Edna O’Brien è un nome, e da
qui in poi è una galleria di vip. Jane Fonda, la principessa Margaret con Lord
Snowdon, amici duraturi, Harold Pinter, Laurence Olivier, Beckett, Peter Brook, John Houston, Jackie
Onassis, Sylvia Plath, “ostile e severa”. Il ritratto più succoso è di Ronald
Laing, lo psichiatra allora in cattedra, che l’ha avuta in terapia, fino a
portarla, “il 6 maggio 1970”, data che Edna si segna, all’Lsd, esperienza
disastrosa: un folle e forse un furbo – il rapporto s’interrompe col conto, “una
parcella enorme”.
Al
fondo di tante soddisfazioni, una ricerca d’amore inesausta.
C’è
anche mota Irlanda. Quella dei lunghissimi troubles,
la guerra civile nell’Irlanda del Nord. E un ritorno a casa, nel Donegal: il luogo è
fatato, ma l’accoglienza è ostile, il freddo soverchiante, l’isolamento impossibile
per una che non guida, e dopo dieci anni il tentativo è abbandonato.
Si
pubblica con un ricco book di
ritratti dell’autrice, lusinghiero ma non a torto.
Edna
O’Brien, Country Girl, Elliot, pp. 382,
ill., € 14,50
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