Boccaccio
“vittima” del “Decamerone”? Si può ben dirlo: fu un eminente erudito, autore di
vaste “Genealogia Deorum Gentilium”, nonché di molte vite illustri alla maniera
di Plutarco, “De mulieribus claris”, “De casibus virorum illustrorum”, nonché
poeta forbito e espanso, di “Rime” sparse e poemi. Tra questi, col “Filostrato”,
il “Teseida”, l’“Amorosa visione”, l’“Elegia di Madonna Fiammetta”, il “Ninfale
Fiesolano”, questa Caccia di Diana”. Che Irene Iocca ripresenta qui, dopo lunga
negligenza (l’edizione di Aldo Francesco Massèra, che ha ricostruito il testo,
è del 1919, quella di Vittore Branca del 1967), in edizione lussuosamente
commentata.
Una
lettura robusta, che stranamente ribalta le posizioni, tra commento e testo: si
legge il commento con più interesse, se non si hanno in uggia le dispute
filologiche, dei versi. Che non animano molto la vicenda: una caccia al femminile,
capeggiata da Diana, in XVIII canti,
ognuno di 58 endecasillabi, ognuno mediamente con una vittima. Finché, verso la
fine, Diana non propone di sacrificare le prede a Gionv e a lei stessa. Ma un
delle donne, amante del narratore, trova più giusto sacrificare le vittime al
“fuoco d’amore” che in lei brucia e quindi alla dea dell’amore. Venere scende
dal cielo e trasforma ogni vittima della caccia in un “giovinetto gaio e
bello”. Feste, balli, e lieto fine: il narratore stesso, da cervo abbattuto si
tramuta in amante dell’amata, di cui tesse un lungo elogio, prodromo dei “blasoni”,
gli elogi di ogni arto o aspetto del corpo.
Una
rappresentazione ripetitiva e di maniera. L’impianto però è quello che sarà il
“boccaccesco”: Diana raduna le più “leggiadre” donne di Napoli, donne tutte a
loro modo vivaci, in un luogo isolato -
“in una valle non molto spaziosa,\ di quattro montagnette circuita, \ di verdi
erbette e di fiori copiosa..”. E anche il vivace gusto dei nomi, mediato da
Napoli, la metropoli dove Boccaccio viveva con il padre fin dai 14 anni, durante
il regno di Roberto d’Angiò, e ora, a 24 anni, studente di diritto canonico,
ammesso a corte e nei ritrovi della nobiltà: Lariella Caracciola, Vannella
Bolcana, Bertita Brancazza, Zizzola Faggiana, Catella Afellapane, cinquantotto
nomi veri che sembrano invenzioni.
L’amore,
soprattutto, tutto domina, carnale. Non di Fiammetta, che Boccaccio incontrerà
successivamente secondo Massèra, il 30 marzo 1336: Fiammetta sarà al centro delle produzione di
rime, 1336-1374. La “Caccia” è anteriore: è la prima delle produzioni di
Boccaccio pervenute, e per lungo tempo rifiutata più che accettata dagli
studiosi – poi accettata soprattutto per i “dantismi”, talvolta calchi
espliciti, a Napoli avendo il commerciante e studente certaldese “scoperto” il
poeta fiorentino nell’immediatezza.
Il
tema delle “belle” napoletane è anche materia dell’“Amorosa Visione” e dell’“Ameto”.
La stessa Fiammetta i più identificano con la bionda contessa Giovanna, o
Maria, Sanseverino di Mileto, figlia naturale del re Roberto, cresciuta dal
conte Tommaso d’Aquino di Belcastro.
Giovanni
Boccaccio, Caccia di Diana, Salerno,
pp. LXXVII + 214 € 26
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