sabato 1 aprile 2017

Contro gli immigrati una storia americana di linciaggi

Il nativismo negli Usa non è di oggi e non è di Trump – peraltro americano di seconda generazione, suo nonno era tedesco. La polemica anti-Trump vuole farne un paese dalle porte aperte ma non è stato così: ci sono sempre state leggi anti-immigrazione. Applicate con durezza. È un’ambivalenza anzi costante nella storia americana: il paese che è il crogiolo per eccellenza delle razze è anche quello “nativista”, come si dice oggi, razzista, più truce. Un lunga serie di sanguinosi pogrom è elencata da Simon Schama sul “Financial Times”, lo storico dell’arte inglese che è stato professore alla Columbia University a New York e alla New York University:
La novità, dice Schama di Trump, è che le preclusioni finora non erano entrate alla Casa Bianca. I Kennedy privilegiarono l’integrazione, il libro postumo di John Kennedy il fratello Robert intitolò “Una nazione di immigrati”. Reagan amnistiò tre milioni in immigrati illegali. George W. Bush visitò il Centro Islamico di Washington pochi giorno dopo l’11 settembre, in segno di conciliazione.
Fuori dalle istituzioni il nativismo fu spesso violento. Nel 1891 undici italiani furono linciati a New Orleans. La risposta di Henry Cabot Lodge, uno dei politici americani più illuminati, fu di chiedere ulteriori restrizioni all’immigrazione dall’Italia. Gli italiani erano odiati perché erano cattolici.
Negli anni 1850 gli immigrati tedeschi, in prevalenza del Sud della Germania, quindi cattolici, e quelli irlandesi erano stati oggetto della violenta propaganda di un American party. Venti immigrati tedeschi furono uccisi a Louisville, Kentucky, alcuni bruciati con le loro case. Pogroms analoghi si tennero a Filadelfia, Baltimora e Cincinnati. Samuel Morse, l’inventore del telefono (se non lo rubò a Meucci), si distinse con una campagna contro la “Cospirazione Straniera contro le Libertà degli Stati Uniti”.  
I cercatori d’oro della California organizzarono un Great Extermination Meeting contro i concorrenti messicani e sudamericani. Sempre in California l’immigrazione cinese suscitò presto una reazione sanguinosa. Almeno 17 cinesi furono linciati a Los Angeles nel 1871. Nel 1882 un Chinese Exclusion Act precluse per sempre (fino al 1943, quando l’esercito ne ebbe bisogno – Schama non lo dice ma si sa) la cittadinanza americana ai cinesi.
Negli anni 1890 fu attivo un vero e proprio partito populista, creato da un agitatore in favore dei contadini poveri, Thomas E. Watson. Watson tentò di montare la campagna contro le città, bianchi e neri uniti nella lotta. La risposta fu tiepida, e il partito Populista divenne, nei pochi anni che sopravvisse, razzista e anti-immigrazione. Dal 1896 furono l’Mit, il Massachusetts Institute, e il suo presidente a porsi a capofila della propaganda anti-immigrazione, degli “essere miserabili”, “un’offesa ai nostri caratteri nazionali”, etc..
“America First” è di conio di Woodrow Wilson, il presidente che porterà gli Usa in guerra nel 1917, alla difesa dell’Europa - prima Wilson era per la neutralità, da qui lo slogan. Sarà fatto proprio dal giornalista-editore Randolph Hearst e da Charles Lindbergh negli anni 1930 nelle loro campagne per la “purezza della razza” e l’“isolamento”, di fatto pro-hitleriane.

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