“Non
fosse per l’Italia, ci sarebbe la guerra civile in Nigeria, credimi”. Una
nigeriana sulla spiaggia di Tripoli, in procinto di essere stipato su un
gommone, rifornito con due latte di carburante, “quanto basta per raggiungere
le acque internazionali”, lo dice convinto a Ben Taub, giovane giornalista americano
che ha seguito la traccia dell’immigrazione dalla Nigeria all’Italia via Libia.
Attraverso il Niger. Un mondo di mafiosi e truffatori. Implacabili e impuniti.
In un mondo senza legge, compresa la Nigeria, che è “il paese più ricco
dell’Africa”.
Ma
questo è l’atto finale. Il lungo reportage
è
su Benin City, la città della Nigeria sud-occidentale che fu capitale di un
glorioso impero, del Benin, e oggi anche wikipedia registra come la capitale
della prostituzione nigeriana in Europa, e specialmente in Italia. Capitale
ufficialmente dello stato di Edo, uno degli stati yoruba dele federazione nigeriana.
Governata, spiega Taub, da “sacerdoti” juju, piccoli stregoni in cerca di
elemosine e affari. In forma narrativa, il lungo reportage espone un mercato
inesauribile di infamie, nutrito dal bisogno e perfino dalla fame. Dove la
moneta è la prostituzione. Si prostituiscono le ragazze, dai quattordici anni
in su, il tempo necessario per pagare i trafficanti, già lungo l’interminabile
viaggio terrestre, tremila km.da Benin City alla costa libica, sei mesi, e si raggiunge l’Europa
– “Roma”. Pagato il necessario, una somma sempre elevata e comunque elastica, e
alla mercé dei trafficanti senza alcuna protezione (Taub conta 116
prostitute nigeriane uccise in Italia tra il 1994 e il 1998). Alcune di loro
diventeranno “madame”, cioè “aiuteranno” le madri di Benin a fare cassa
prostituendo le figlie.
Nel
2016, si può aggiungere, circa 8 mila delle 11 mila donne nigeriane sbarcate in
Sicilia sono state avviate ala prostituzione. Un mercato schiavistico, che dura
con l’Italia da quarant’anni buoni, e nessuno indaga – solo il “New Yorker”.
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