Testo escatologico
arabo-spagnolo, il cui originale, a noi non giunto, portava quasi certamente il
titolo di Kitāb al-Mirāǵ, “Libro
della scala” o “ascesa”, di Maometto in cielo. Re Alfonso X di Castiglia lo
fece tradurre nel 1264 o poco prima, ad opera di un dotto medico giudeo,
Abraham. Dalla versione castigliana, anch’essa perduta, Bonaventura da Siena
trasse due versioni, sempre su commissione del re Alfonso X, una in latino, “Liber
Scalae”, e una in antico francese, “Livre de l’Eschiele de Mahomet”. Tre copie
sono residue, a Oxford, Parigi e alla Vaticana. La copia in latino della
Vaticana è stata pubblicata nel 1949 da Enrico Cerulli, insieme con un
riassunto della prima versione castigliana, attribuita a S. Pedro Pascual,
conservata in un codice dell’Escuriale.
L’opera si può
sintetizzare con l’arabista Francesco Gabrieli, “Enciclopedia Treccani”, 1970:
“Appartiene a quel filone della letteratura araba edificante e popolare, che
sviluppando un famoso versetto coranico su un miracoloso viaggio notturno del
profeta a Gerusalemme (Corano XVII 1), narra la susseguita sua salita al cielo
e la sua visita dei regni d’oltretomba. Nel testo in questione, Maometto è
destato nel suo letto alla Mecca dall’angelo Gabriele, è fatto montare sul
destriero alato Burāq, condotto a Gerusalemme, e di qui fatto ascendere in cielo
per la fulgida ‛scala’ (mirāg) che dà
nome al libro. Egli vede l’angelo della morte, un altro in forma di gallo, un
terzo metà di fuoco e metà di neve, e traversa gli otto cieli incontrando in
ognuno un profeta, fino al trono di Dio; visita quindi il Paradiso con le sue
delizie di natura e d’amore, e riceve da Dio il Corano, con i precetti delle
orazioni quotidiane e del digiuno. Passato poi all’Inferno, ne percorre le
sette terre, e ne contempla i diversi tormenti, ascoltando da Gabriele le
spiegazioni sul giorno del giudizio e la prova del ponte aṣ-Ṣirāt. Tornato
infine sulla terra, tenta invano di convincere i suoi concittadini Meccani
sulla verità della sua visione, che per suo invito trascrivono e autenticano i
suoi fidi Abū Bekr e Ibn' Abbās”.
Una materia già nota. Questa trascrizione si segnala per
presentare gli eventi della tradizione in continuo, come un’unica narrazione. E
perché è passata in Occidente. A metà Trecento la cita Fazio Degli Uberti nel
“Dittamondo” (“il libro suo”, di Maometto, “che Scala ha nome”), nel
Quattrocento da Enea Silvio Piccolomini (papa Pio II), e poi da altri. Gabrieli
concludeva con una terza novità, a proposito della prima pubblicazione del
“Libro” da parte di Cerulli nel 1949: “Si verificava così per la prima volta l’potesi già avanzata da M.Asín
Palacios, a fondamento della sua tesi sugl’influssi dell’escatologia musulmana
nella Commedia, di un testo arabo giunto per documentata trafila di versioni
all'ambiente e all’età di Dante”. Se non che non si trova niente che possa
avere influito su Dante – lo stesso Gabrieli successivamente si ricredette.
La voce wikipedia “Libro della Scala”, la meglio impostata e
argomentata, finisce anch’essa per
basarsi su un errore, a proposito di Brunetto Latini, che per aver passato
“qualche mese” (uno, due, dieci?) alla corte di Alfonso X El Sabio non può non aver preso conoscenza del
“Libro”: “Sembrerebbe implausibile che l’autore de «Il Tesoretto» non avesse
portato con sé, al suo ritorno in patria, materiale su questo genere letterario
grandemente diffuso in terra spagnola, di cui già parlava ad esempio nel suo «Dittamondo» Fazio degli Uberti”. Ne parlava cioè uno che è vissuto fra il
1305 e il 1367?
Wikipedia non ne tiene conto, ma un’altra
“prova” del plagio, o dell’islamismo segreto di Dante, è che una copia del “Libro” esisteva in una biblioteca
bolognese nel 1313, nella città cioè dove Dante aveva studiato. Dove quindi,
perché no, potrebbe aver letto il “Libro”. Andando a colpo sicuro, fra uno
scaffale e l’altro della biblioteca, tra le fatiche dello studio. Ma come
faceva a leggerlo nel 1287, data del suo presunto soggiorno bolognese – del
“sonetto della Garisenda”?
Asín
Palacios, il religioso studioso di “Dante e l’islam”, non conosceva il “Kitāb
al-Mirāj”. L’accostamento è stato operato da Enrico Cerulli, un diplomatico -
governatore dello Scioà abissino per alcuni mesi nel 1939, subito dopo l’occupazione
italiana, e poi per un anno dell’Harrar, bandito dall’Etiopia indipendente come
criminale di guerra. Cerulli lo ha proposto all’attenzione nel 1949, ma lo
aveva rinvenuto “nei primi anni Quaranta”. Come studioso si cautelava, non
escludendo letture comuni, a Dante come a Maometto, sicuramente quella
dell’Antico Testamento. Ma di più ricordando le tante connessioni “tra la
leggenda islamica e le ascensioni giudaico-cristiane apocrife di Mosè, Enoc,
Baruch e Isaia”. Il suo “Libro della Scala” è stato ripubblicato con notevole
apparato dalla Biblioteca Apostolica Vaticana nel 1970, regnante Paolo VI. Cerulli,
poi ambasciatore in Iran, ne aveva riportato varie sillogi di ta’ziyè, i drammi sacri
sciiti - da lui conferiti sempre alla Biblioteca Vaticana.
Di “fonti” per la “Commedia” anche Dante
avrebbe potuto trovarne – ne ha trovate – a bizzeffe: i viaggi nell’aldilà erano genere comune, di
pietà popolare, dai tempi biblici. O, per stare al canone occidentale, dal canto XI dell’“Odissea”, e dal canto VI dell’“Eneide”. Né il reverendo Asìn Palacios voleva legare Dante all’islam:
quello che voleva era argomentare la Spagna delle “tre culture”, latina,
andalusa e oltremare (americana). Allora, un secolo fa, era ancora vivo il
dibattito sulla Spagna delle “due culture”, europea e oltremare, o delle “tre culture”, mediterranea, europea
e oltremare, il cui ultimo effetto sarà di ritardare l’adesione al Mercato
Comune e alla Cee, avvenuta solo nel 1986. Ma c’è come una volontà di dire
Dante un plagiario, l’islam superiore, come cultura e come religione, superiore
a che?, e l’Italia in fondo inesistente, che pure allora faceva la cultura, il
commercio e la politica dell’Europa.
L’edizione
Bur, curata da Anna Longoni, collaboratrice di Maria Corti a Pavia, al Centro
Manoscritti, reca il testo latino approntato a metà Duecento per Alfonso X Il
Savio, in edizione critica. Con un saggio della stessa Corti, la filologa che
più di tutti voleva Dante al carro dell’islam.
Più
perplesso l’iranista Carlo Saccone, che cura l’edizione SE, con traduzione del
poeta Roberto Rossi Testa.
Anonimo,
Il Libro della Scala di Maometto, Bur,
pp. LXXIX-365 € 13
SE, remainders, pp. 198 € 10
free online http://www.classicitaliani.it/dante/critica/Maometto_scala.htm
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