mercoledì 12 aprile 2017

Gadda littorio

“Quattromilaseicentosessantasei donne lombarde (1299 in Milano, 3367 in provincia d Milano)  hanno frequentato il secondo «corso di preparazione alla vita coloniale» con perseveranza e diligenza ammirevoli, e si sono diplomate donne coloniali”. Nel 1938, pochi mesi appena dopo la proclamazione dell’impero. Ironia? No, Gadda giornalista, benché sfaticato, è reporter serioso. Esperto minerario, esperto di marinerie militari, esperto di bonifiche, nonché, come si sapeva, di trincee, qui le linee Sigfrido e Maginot. E della superiorità della Germania, demografica, mineraria, produttiva. Con un occhio di riguardo per la romanità, per “la vera e propria ingegneria militare” dei Romani. Non immune allo stile littorio, come si vede, tra perseveranza e diligenza, “con l’animo deciso e in tento di chi crede”, etc., e anzi corrivo. 
Con questo passo Gadda apre la prima di due corrispondenze sulle bonifiche, di cui il regime va fiero, in Sicilia: “Lo Stato fascista, esprimendo in azione la volontà e le direttive del Duce….” . Non esitando a celebrare “il genio del Duce”. Ammirato comunque fino a metà 1941. Sospettoso sempre della fanfara democratica: “Il cànone egualitario s’impuntò a difendere la causa d’una bassa capacità generale contro l’emergere dei più atti. Ciò non toglie che la coscienza collettiva, quando è veramente impegnata sull’opera, tenda ad affidarla ai migliori, non ai peggiori”. Riflessione indotta dal “concerto, in una esatta rispondenza di moti e atti”, di “una squadra di carpentieri di Romagna” a Roma.
Manuela Bertone ha recuperato alcuni degli scritti giornalistici di Gadda rimasti fuori dalle raccolte successive, da lui o da altri curate. Espunte forse perché l’Ingegnere, che fu nazionalista in gioventù, e poi fascista, prima del disastro imbelle della guerra (ma già la conquista dell’impero non lo persuadeva), non vi si riconosceva più. O forse per la modesta qualità delle prose: gli articoli Gadda diceva “piuttosto fessi”, scrivendone al cugino Piero. Sono tuttavia, come spiega Bertone, una lettura interessante, oltre che necessaria. Per la biografia dello scrittore, poiché ne testimoniano gli svariati,  ma sempre attendibili e puntuali, interessi - un caso eccezionale fra i letterati italiani, che sanno poco di poco. E per la sua scrittura, il suo modo di procedere: la curatrice rintraccia in queste prose “alimentari” vari stilemi poi ricorrenti nella narrativa, “Adalgisa”, “La cognizione del dolore”, etc.. La mezza pagina sui carpentieri di Romagna a Roma è già puro Gadda.
Notevole, per altri aspetti, l’articolo sulla ristrutturazione della Città del Vaticano. Un semplice elenco dei lavori svolti, abbattimenti, sbancamenti, costruzioni, urbanistica, ristrutturazioni. Che però testimonia un lavoro enorme, che ha trasformato uno dei tanti “prati” incolti del quartiere romano nel complesso monumentale quale oggi si vede, in meno di cinque anni, dopo il Concordato. A Roma si può – si poteva.
Notevoli gli articoli sulla Sicilia. Benché scritti di malavoglia, dopo, dice Bertone, un viaggio brevissimo, “in inverno, in condizioni penose e disastrose”. Gadda rifà, nientemeno, senza rendersene conto, la teoria del feudo e dell’abbandono, legandola come’è più giusto ai territori desertici e non al cattivo feudatario: “Vasti pianori assolati, privi di corsi d’acqua e scarsi di circolazione idrica subumale”, e per di più insalubri, da cui i contadino rifugge, ritirandosi nel villaggio, e più distante meglio.
Notevolissima la conoscenza che vi dispiega, in poche righe, dell’Italia, visiva, di prima mano. Dell’Italia centrale, da lui già scelta a preferenza della natia Lombardia, molti anni prima del “Pasticciaccio”. La campagna in Sicilia descrive spoglia, “nessuna traccia d’alberatura”: “Non il noce di Campania, né il leccio di Tuscolo, né il castano, né il faggio (come invece le fragorose pendici del Sirente e della Maiella), e nemmeno il sughero delle colline di Roselle o di Cosa”.
Carlo Emilio Gadda, I Littoriali del Lavoro, Ets, Libreria Chiari, pp. 149 € 3,60

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