Yergin,
storico (debuttò con “The Shattered Peace”, sull’origine della guerra fredda) e
storico dell’economia, si è specializzato nel mercato dell’energia. Che è insieme
determinante per la sicurezza politica, ed è forse il più grande mercato
singolo nella vasta rete dell’economia mondiale. Il calcolo è di un investimento
di 6 mila miliardi di dollari nei prossimi anni per le sole riserve fossili di
fonti di energia – a prescindere cioè dalle fonti alternative e dal “quinto
combustibile”, le azioni per il risparmio (conservazione) e l’efficienza. Tutte
le previsioni, afferma lo storico, danno il mondo dipendente dagli idrocarburi,
per il futuro ipotizzabile, al 75-80 per cento dei consumi di energia.
Con
“The Quest” Yergin torna a spiegare che l’allarmismo sull’energia è artefatto:
il libro è stato pubblicato quando il greggio era a 70-80 dollari a barile –
poi è salito a 100 e oltre. Una quotazione, spiega, ingiustificabile sotto ogni
riguardo, né di costi materiali, né di ricerca e sviluppo, né di ammortamento,
né di costi finanziari. Un’analisi e un’informazione calmieratrici in un
mercato volatile, e molto dipendente dalla speculazione – voci, paure.
Lo
aveva già fatto con “Il premio”, 1991, per dissipare i timori seguiti al primo
(1973) e al secondo (1984) shock petrolifero, contrastando la facile speculazione
sulle materie prime. Ci riprovato con questo “The Quest”, la ricerca, sottotitolo
“Energy, Security and the Remaking of the Modern World”, dove modern sta per contemporaneo. Partendo
da un breve excursus sugli apocalittici, che si commenta da solo. Primo Lord
Kelvin, che nell’Ottocento profetizzò la fine vicina, dopo il 1881, per
l’esaurirsi delle miniere di carbone nel Galles. E dopo la guerra l’ammiraglio
Rickover, “il padre della Marina atomica”, per un facile rilievo: “La dotazione
di risorse della terra si è mostrata in nessun modo così desolata come Rickover
pensava”, malgrado Fukushima, le primavere arabe e l’incertezza dei
rifornimenti, la Bomba iraniana, i consumi esagerati.
In
questa chiave, e a parte, Yergin demolisce col sorriso il “picco di Hubbert”.
Hubbert era un colorito personaggio che ebbe fama per aver “predetto” nel 1956 che
la produzione americana di idrocarburi avrebbe avuto un picco tra il 1965 e il
1970 - il “picco di Hubbert” - e poi avrebbe cominciato a declinare. Basandosi
su un calcolo corretto delle riserve americane di idrocarburi e del trend dei consumi, del fabbisogno del
sistema produttivo. Il picco in effetti fu raggiunto nel 1970. E tre anni dopo
la richiesta dei paesi produttori di un aumento dei prezzi alla fonte fu facilitata,
nello “shock petrolifero” dell’ottobre 1973, proprio dall’ingresso degli Usa
nel mercato internazionale come grande importatori. Hubbert ci prese gusto, e “nel
1978 predisse che i bambini anti nel 1965 avrebbero visto tutto il petrolio
disponibile consumato nell’arco della loro vita”. Questo naturalmente non sta
avvenendo: “Nel 2012”, spiega Yergin, “la produzione Usa di petrolio è stata
quattro volte più alta di quella prevista da Hubbert”. Che nel suoi calcoli
escludeva l’innovazione e i prezzi.
I
problemi del mercato dell’energia sono di altra natura, spiega Yergin in
dettaglio. Uno è “la globalizzazione della domanda”: ci sono più soggetti
acquirenti sul mercato mondiale per quantitativi importanti, la Cina, l’India,
lo stesso Giappone e la Germania dopo Fukushima e l’abbandono del nucleare.
Oggi – 2010 – il consumo medio pro capite è di 14 barili di petrolio nei paesi
sviluppati e di 3 nel mondo in via di sviluppo: che succederà quando i miliardi
di nuovi entranti nel mondo dello sviluppo consumeranno 6 barili l’anno?
Poi
c’è il problema della sicurezza. Contro i cyber-attacchi, la pirateria
informatica, molto possibile nella complessa logistica delle forniture d
energia. E contro le guerre e l’insicurezza del Medio Oriente, dell’area del
Golfo – che detiene il 55 per cento delle riserve mondiali di petrolio e gas.
Ma
il petrolio non manca e non è scarso. “Come prova del picco, i suoi sostenitori
argomentano che il tasso di scoperta di nuovi giacimenti di petrolio è in
declino. Ma non si tiene conto di un punto cruciale. La maggior parte delle
forniture di petrolio non è il frutto di
scoperte, ma di riserve e rivalutazioni”. La differenza tra le prime
valutazione, quando “si scopre” un giacimento, e le successive revisioni e
rivalutazioni è solitamente elevata: il potenziale mediamente raddoppia.
E
gli investimenti in nuove prospezioni non diminuiscono, ma aumentano “drammaticamente”.
Daniel Yergin, The
Quest, Penguin, pp. 820 € 19
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