Non
sarebbe il primo caso di intercettazioni falsificate, se l’accusa al capitano Gianpaolo
Scafarto per l’inchiesta Consip. Lo stesso Scafarto, e gli stessi suoi danti
causa a palazzo di Giustizia, si sono resi protagonisti pochi anni fa di un’altra
inchiesta senza esito, a parte le indiscrezioni contro Renzi, quella presunta
sulla metanizzazione di Ischia.
Altra
inchiesta, anche questa napoletana, basata sulla falsificazione delle
intercettazioni, fu nel 2006 a carico della Juventus. A opera di due giudici che
su di essa hanno costruito una fulminea carriera, Narducci e Beatrice, e di un tenente
colonnello dei Carabinieri, Auricchio. Con intercettazioni omesse, altre sincronizzate
o trascritte in modo artefatto – Auricchio, accusato di avere manipolato altre
intercettazioni, si era querelato ma aveva perso la causa.
Il
processo si concluse con condanne perché i proprietari della Juventus, gli
eredi Agnelli, volevano sbarazzarsi del management del club. Ma la presidente del
Tribunale Teresa Casoria rimase sbalordita dalla faciloneria e la supponenza
dell’inchiesta – vinsero gli intercettatori, con l’aiuto allora di Berlusconi.
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