“Se
c’è una cosa tremenda a scrivere quando si è cristiani è che per te la realtà
suprema è l’Incarnazione, la realtà presente è l’Incarnazione, e all’Incarnazione
non ci crede nessuno; nessuno dei tuoi lettori, cioè. I miei lettori sono
quelli convinti che Dio sia morto”. È la prima o seconda, tra quelle qui collazionate,
delle trecento lettere che Flannery O’Connor scrisse ad “A.” nei suo ultimi
dieci ani, a partire dal 1955. Lettere di fede e solitudine, a amici,
letterati, critici. Molto dirette, decise (lei dice “umoristiche”), e molto
sole, malgrado la rete di simpatie.
La
simpatia andava alla sua scrittura, innovativa, e al personaggio. Una
scrittrice famosa poco più che ventenne, isolata nela Georgia allora remota,
cattolica in un mondo “religioso” ma ostile, anticonformista per ogni aspetto, compresa
l’assenza di ogni pulsione sessuale, e malata presto incurabile, di un lupus
ereditario che la isola e la condurrà a morte poco prima dei quarant’anni.
Parlava con un “pesante acento gerogiano”, ricordano i suoi compagni alla
scuola di scrittura dell’Iowa University, al punto da rendersi
incomprensibile. Ha vissuto, presto
orfana del padre, che avrebbe voluto fare lo scrittore, con la madre in una fattoria
che questa ha ereditato a Milledgevile, la cittadina che ospita il manicomio
statale della Georgia. Con rare incursioni al Nord, a New York (una cena
memorabile è raccontata in casa di Mary McCarthy) e nelle università che la
invitano. Occupa il tempo nlla fattoria allevando oche e pavoni. La madre, che
le sopravviverà, è presenza costante della sua corrispondenza e con i rari
visitatori, di vedute sempre in qualche modo anticonformiste per essere
reazionarie. Ma di equilibrio inconsueto sulla questione allora dominante in
Georgia, il rapporto con i neri, lavoranti, vicini.
Le
lettere ad “A.”, la maggior parte di questa raccolta (gliene scrisse circa
trecento in otto anni, lunghe), sono singolarmente sottili e confidenziali,
aperte. E corpose, fertili di giudizio. Singolarmente perché “A.” è Elizabeth “Betty” Hester, impiegata in un
ufficio crediti di Atlanta, che scrive racconti e poesie, che non pubblica,
soggetta a crisi religiose, di adesione e poi di ripulsa, dopo essere stata congedata
“con disonore” dall’Aviazione, per pratiche lesbiche. Morirà nel 1998, di 75
anni, 34 dopo Flannery, suicida. Le due corrispondenti erano coetanee, Betty
maggiore di due anni. Aveva cercato Flannery dopo aver letto alcuni suuoi
racconti. “A.” andrà spesso a trovarla ala fattoria. La corrispdnenza con “A.”
è anche unutile esposizione-esegesi dei suoi propri racconti e romanzi, nonché
ella sua attività di conferenziera e giornalista.
La
raccolta si può dire delle lettere ad “A.”, con contorno di missive sparse ai Fitzgerald,
Robert e Sally, gli amici forse più intimi e costanti, presso i quali ha
abitato, che ritrova anche in Italia, quando afronta il pellegrinaggio a san
Pietro – e poi a Lourdes. Con Robert Lowell, suo collega a Yaddo, dove O’Connor
fu accettata nel 1948, a 23 anni, come writer
in residence, insieme con Alfred Kazin e Elisabeth Hardiwick. Con Katherine
Ann Porter, Elizabeth Bishop, “i Gossett”. Con contorno di Marshall McLuhan
giovane. E di Claudio Golier in un gustoso episodio, in visita alla fattoria e
invitato a cena. Con altri letterati di minore nome, consociuti in precedenza
all’università dell’Iowa, ai corsi di scrittura – dove veniva consigliato, a
scuola di racconto, “Guerra” di Pirandello, insieme col “Lamento” di Cechov. Con
letture disparate, ma semrpe di gusto preciso. Entusiasta di Nabokov, “I
bastardi” e altro, perplessa su Pasternak. E sui beat: “Certe volte il loro
picocl mondo bohémien è di un sentimentalismo ributtante”.
C’è
anche Reagan. “Una produzione diretta da Ronald Regan (?)” compra i diritti di
un suo racconto. Per un adattamento tv nel quale “forse R.R. interpreterà” il
ruolo principale. Reagan lavorava in quegli anni anni per una seriet tv detta
General Electric Theater, sulla Cbs, per la quale presentò 235 episodi, in 35
dei quali recitò. Il racconto acquistato dalla prodzuone è “La vita che salvi
può essere la tua”. Lo sceneggiato poi si fa e va in onda, con grande successo
locale, di amici, parenti e conoscenti. Ma non è dato sapere se Reagan si è
limitato a presentarlo o ci ha recitato.
Un altro Sud
Flannery
O’Conor è la scrittrice di un altro Sud. Dieci anni appena dopo “Via col
vento”. Coeva di Faulkner, che apprezzava, e di Tennessee Wiliams e Carson
McCullers che invece detestava – come tutte le specie di “intellettuali”, Mary
McCarthy che l’ha invitata a cena, il “New Yorker”, etc.: contro l’”intellettuale”
ha molte feroci battute, “intellettuale” è per lei sinonimo di fake. A Tennesseee Wiliams e McCullers
addebita un Sud di cliché, anche se
diverso da “Via colvento” . E di un altro mondo all’interno del Sud: il cattolicesimo
che inalbera a ogni riga è un modo d’essere marginale al Sud dell’epoca.
Savannah e la Georgia erano creazione di episcopali e luterani. Quindi di
battisti e metodisti. I cattolici erano esclusi dagli statuti cittadini fino a
fine Settecento. Poi considerati presenza aliena, come gli ebrei, e una delle
tante sette, non riformata e non itinerante.
“A.” l’ha cercata mentre avviava un percorso
per entrare nella Chiesa – che abbandonerà cinque anni dopo. Flannery sarà per
procura sua madrina di cresima. A. le pone con
insistenza il dubbio che non sia una “fassista”. Flannery ribatte che A.
non è una “smidollata” ma una “romantica”. Con questa corrispondente, presto
diventata amica in carne e ossa, dopo ripetute sue visite, che si penserebbe la
più remota per ogni aspetto, Flannery stabilisce il rapporto più proficuo. Fino
a
concederle:
“Forse hai ragione tu a dire che l’uomo è una donna incompleta”.
“A.”
vivendo a Atlanta, con accesso a più fornite biblioteche, Flannery comincia a
legere: Walter Ong, il gesuita, amico di “A.”, Guardini, Teilhard de Chardin,
Simone Weil - fino a possederne incredula, in dono in prestito, i corposi “Quaderni”
– Edith Stein, che però non si traduce. Con “A.” matura molte delle convinzioni personali in
materia di religione che la caratterizzano, eretica e insieme dommatica. Alla
luce della generale incredulità. “Incarnazione a parte, il concetto stesso
dell’esistenza di Dio non sodisfa più sul piano emotivo un gran numero di
persone, ma non per questo Dio cessa di esistere. Sartre trova Dio in sommo
grado insoddisfacente sul piano emotivo e così la magior parte de miei amici di
statura inferiore alla sua”. Ma “la verità non cambia” sul filo delle nostre
emozioni. Succede anche ai santi, di trovare a volte la verità rivelata
“detestabile, emotivamente molesta, totalmente ripugnan te”. È quella che si
chiama “la notte oscura dell’anima” nei processi di beatificazione: “Al momento
il mondo intero sembra attraversare una notte oscura dell’anima”. Del resto,
“non si capisce perché gli effetti della redenzione debbano risultare evidenti
quando non lo sono quasi mai”. A John Hawkes, lo scrittore sperimentale,
spiega: “Il mio tema è sempre il conflitto fra l’attrazione per il sacro e una
miscredenza nei suoi confronti che si respira con l’aria del tempo. Credere è
sempre difficile, ma tanto più lo è al giorno d’oggi”
Tra Omero e umore
Inizialmente
confessa poche letture. Anzi solo quelle dell’enciclopedia per ragazzi, sui
miti gerci e romani, e “The Humerous tales of E.A.Poe”, a metà tra Omero e
umore (qui tradotto “I racconti umorosi”). Rifiutando, qusto si sa dalle
annotazioni che ha lasciato sulle sue copie, “Alice” e “Pinocchio” – sul
risguardo di “Georgina finds Herslef”, di Shirley Watkins, si trova scritto:
“Questo è il peggior libro che ho mai letto dopo ‘Pinnochio’”(sic)”. Un umorimo
bislacco privilegiando, in queste annotazioni di Poe giornalista, che in
effetti può essere la sua stesa cifra di lettura più coprente. La stessa Simone
Weil, nella quale un po’ si riconosce, dice “comica e tragica”. Un’alegra
impertinenza la sorregge per tutti gli anni coperti dalla racoclta, dal 1952 al
1964, quando è già semi immobilizzata. Sui pavoni e le oche. Sulla madre,
battutista inarrivanle – nel viaggio a Roma e Lourdes “la preoccupazione di mia
madre è dove trovare acqua potable da qwuelle aprti”. Sui lavoranti
nell’azienda agricola della madre, neri e bianchi, tutti con qualche rotella fuori
posto. “Io parto da un punto di vista comico”, scrive a John Hawkes,
“indipendentemente da come lo risolvo”.,
Un’edizione
che si avvale di una robusta introduzione di Ottavio Fatica. Ma senza, inspiegabilmente
(nella raccolta originale c’è), un notizia dei corrispondenti – Flannery O’Connor
è proprio sola.
Flannery
O’Connor, Sola a presidiare la fortezza,
minimum fax, pp. 269 € 12
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