Come
la borghesia progressista s’intrappola
nei suoi vezzi e miti. Senza riferimenti, ovvio, al dissolvimento contemporaneo
dei buoni propositi, ne illustra però il meccanismo suicida: quel celebrarsi autoptico, da vivi-morti, la “società civile”,
i “belli-e-buoni” della Repubblica, i migliori e i soli rispettabili, più
spesso in evocazioni e azioni riprovevoli.
Lafargue
non amava Victor Hugo. Non lo apprezzava da socialista e nemmeno da scrittore:
enfatico, scaltro, maneggione, arricchito (lasciò un patrimonio di cinque
milioni, da nababbo), e opportunista. La morte del “poeta sovrano”, come lo definisce
in italiano, gli serve da pietra d’inciampo per la sua attività politica, di
animatore dei primi circoli socialisti, e per un’analisi sorprendentemente attuale
del “repubblicanesimo” francese. Che è il modo d’essere della borghesia, la
protagonista della rivoluzione del 1789. Si può capire che essa sia ora
lepenista, senza tradire il repubblicanesimo.
Il
ritratto che ne fa, peraltro documentato, è cattivissimo. Victor Hugo è stato
monarchico per cinquant’anni. Un poeta che accumula una fortuna, e sollecita
con asprezza onori e incarichi pubblici. Una congrua “pensione” d’artista dai
re restaurati Luigi XVIII e Carlo X – in polemica con Benjamin Constant, che
votava contro le sovvenzioni del governo ai letterati. Quindi il titolo e l’appannaggio
di “pari” da Luigi Filippo. Poi tribuno antioperaio a giugno del 1848. Poi “beneficia”
dell’ostilità di “Napoleone il Piccolo” (Napoleone III), che lo costringe all’esilio,
e se ne fa un tesoro, un altro, stando comodo a Bruxelles. E più dopo che Luigi
Napoleone esce di scena con la sconfitta del 1870.
Questo
di Victor Hugo, l’“ugoista” di Henri Heine, è il primo di un “genere” poi
sviluppato dai surrealisti (su Lamartine e altri): l’assassinio del cadavere. Ma
Lafargue lo pratica col corpo ancora caldo: subito dopo che la Francia si era
fermata per dieci giorni, a fine marzo 1885, con commozione di popolo, per celebrare
il “poeta sovrano” morto. E sorvola elegante sulle fisime di carattere dell’“enfant sublime”, quale era celebrato ai 15 anni, specie nei confronti delle donne, sue e degli altri, a partire dalla madre, alla quale addossserà le sue “colpe” politiche, in quanto vandeana - ma aveva sposato un ufficiale repubblicano, uno che si soprannominava Brutus e partecipava alle .“noyades de Nantes”, gli annegamenti in massa dei controrivoluzionari.
Il
libello è anche un esercizio letterario non occasionale. Lafargue si ricorda
quale genero di Marx, come agitatore politico, come autore del “Diritto all’ozio”,
e per il suicidio – il primo testimoniato del filone eugenetico, per decisione
propria (e della moglie Laura Marx), senza costrizione o motivo specifico. Ma
fu anche scrittore, antropologo, e un precursore della sociolinguistica, con un
“La langue française après et avant la
Révolution”. Uno che possedeva gli strumenti della retorica e della
stilistica.
Paul
Lafargue, Le leggenda di Victor Hugo,
free online http://digilander.libero.it/biblioego/lafargHugo.htm
La légende de
Victor Hugo,
Mille et-une-nuits, pp. 87 € 2,50
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