martedì 11 aprile 2017

La prova regina è pettegola - intercettazioni 2

astolfo
La “prova regina” è la più falsificabile. L’intercettazione in sé, come viene registrata e trascritta, peggio se sintetizzata e non nella sua estensione temporale, interpretata e spiegata nelle sottigliezze, le allusioni, le frasi non completate. E i toni: sonori, stilistici, abituali. La prova regina è uno “ghiommero”, un complesso intricato.  
C’è poi il complesso dell’intercettatore, più intricato ancora. Questo sito ne ha schizzato il ritratto

Ma l’argomento non si può liquidare: l’intercettazione non è quella cosa semplice e chiara che i media fanno credere – sempre meglio che fare giornalismo, cioè lavorare. E problemi robusti pone, istituzionali e etici.

La giustizia scandalo
Non si può fare un regolamento delle intercettazioni. E nemmeno degli appalti delle intercettazioni. Le quali sono un’attività ora completamente “esternalizzata”, in outsourcing o service. Una parte irrisoria delle intercettazioni viene effettuata direttamente dalle forze di polizia. Quello delle intercettazioni è ormai un business, con diecine di aziende operative. Non grande, sui 300 milioni di euro. Ma abbastanza per avere un’associazione di settore, la Iliia. E un paio di migliaia di addetti.
Il regolamento non si può fare anche per questo motivo: che si regolerebbero gli appalti, che ora sono invece discrezionali per ogni Procura. Qualche volta anche con gara, invece dell’affidamento diretto, ma evidentemente addomesticati. Il costo infatti può variare: a parità di difficoltà, capita che da una parte si spende 3 e da un’altra si spende 15.  Le intercettazioni sono un veicolo della corruzione a palazzo di Giustizia.
Molte intercettazioni si fanno a solo scopo scandalistico e non di giustizia. Ne sono emerse a carico di Anna Maria Tarantola quando era alla Banca d’Italia, senza nessuna ipotesi di reato. Di Bertolaso prima del terremoto dell’Aquila, quando parlava con i membri della commissione Grandi Rischi, sempre senza ipotesi di reato. Di Moggi per anni, il dg della Juventus, a opera del tenente colonnello dei Carabinieri Auricchio. Di Buffon a opera della Guardia di Finanza. Sempre senza ipotesi di reato.
Intercettazioni non richieste dai giudici, autorizzate ex post, emerse per caso, per inavvertenza. Anche per spocchia, nella presunzione certa dell’impunibilità. È il secondo aspetto del fenomeno: l’intercettatore non lavora per caso ma a un progetto, per la forza del ricatto?
Gli effetti sono devitalizzanti. “Le chiacchiere uccidono”, dice il papa (Francesco, 16 febbraio 2014). Parlano tutti col muso storto, allo stadio, alle cCamere, per la strada. Al ristorante mugugnano. E in camera da letto? Probabilmente non hanno attività in camera da letto, tanti trucchi spompano.

Grande Orecchio
Si può non farsene scandalo, considerando la sua diffusione: L’intercettazione, audio e video, è “normale”, e quasi fine a se stessa la scopomania eretta a scopolatria, e a scopocrazia. Un’affermazione di potenza. Come se ci fosse un Grande Orecchio in ascolto, al modo come lo scrittore Orwell l’ha ipotizzato in “1984”. Per fini non noti, diversamente dal romanzo, ma comunque destabilizzanti, servissero pure soltanto a un mercato del gossip invece che al giustizialismo, alle vendette dei giudici.
Il Grande Orecchio è peraltro universale nell’epoca di internet. Si sa che tutti spiano tutti, le autorità ufficiali: gli Usa intercettano tutte le comunicazioni di nemici e alleati. Gli europei si intercettano a vicenda. Qualsiasi blogger sa – vede dalle statistiche google per esempio, segnate in verde sempre più scuro - le sue elucubrazioni “intercettate” da ignoti, con spiegamento di orecchi: non il lettore cui ambisce, ma agenzie specializzate, che procedono occasionalmente “a strascico”, negli Usa, in Russia, in Israele, verde scuro, poco più chiaro in Cina e in Germania. – a che fine non si sa.
Le intercettazioni hanno servito politicamente, cause celebri. Contro Nixon per esempio. Ora forse contro Trump. O gli ascolti costanti della Stasi nella Germania dell’Est, di cui si è fatto pure un film premiato, “Le vite degli altri” – ciò che non ha impedito al sistema di collassare.
“La polizia moderna non teme le parole, teme i fatti”, riflette C. Alvaro in “Quasi una vita”, p. 53: “Ma anche le parole possono servire. Sono poche quelle che sfuggono a questo sospetto. Ed è una fama divulgata ad arte, per dissociare il corpo sociale”. Dissociare il corpo sociale, bisogna pensarci.

Stile
Le intercettazioni sono anche modello e stile di scrittura. Della parte buona, alta (informativa, di richiamo) dei giornali: politica, cronaca, economia, sport. E, per chi ancora legge, di una parte cospicua della saggistica e della narrativa: la storia politica, la morale (la filosofia), la giustizia, il giallo (politico, economico, sociale, mafioso-noir, giudiziario-procedurale). I dialoghi di più di un giallo sono calchi delle intercettazioni - lo stile questurino. Per uno scrupolo di realismo, e d’immediatezza dell’espressione. Ma anche – facendolo sapere al lettore – per stimolarne la curiosità feticista. Il voyeurismo non è feticismo e lo è: è adorare la mutanda sporca.
Le intercettazioni sono la vecchia lettera anonima. Sono pubbliche, supportate dalla registrazioni. Non sempre, solitamente anzi sono trascrizioni, passi scelti e interpretati, di cui è impossibile ricostruire il contesto e verificare la rispondenza con l’originale, producendosi migliaia di ore di ascolto. Ma sono selettive e mirate, proprio come le lettere anonime, in forma di anticipazioni, indiscrezioni, linee interpretative, pooling di notizie. O allora sono piani segreti di entità segrete. Roba da 007, di autore autorevole anche se anonimo. E, sceneggiati convenientemente, secondo un disegno, con ruoli fissati, senza possibilità d’improvvisazione. I cronisti giudiziari, che grazie alle intercettazioni sono giunti a monopolizzare i giornali, chi l’avrebbe detto, erano poco sopra il redattore alle lettere, non sono felici.
Contro gli abusi delle intercettazioni e del pettegolezzo, all’insegna fraudolenta della trasparenza.
Magris, “Segreti e no”, pp. 49-51, cita il “Nuovo Dizionario di teologia morale”, a uso dei confessori. Alla voce “Segreto”, redatta da Luciano Padovese. In cui, scrive Magris, “si esprime la preoccupazione più viva di tutelare il segreto non quale ineffabile mistero bensì quale difesa della dignità della persona e della sua intimità, della sua verità interiore. In particolare si sottolinea come la sofistica crescita tecnologica dei mezzi di comunicazione consenta sempre più inquietanti violazioni dell’elementare vita quotidiana, in una spirale di comunicazione globale che diviene espropriazione della persona, voyeurismo travestito da scienza o da indagine sociologica, da denuncia politica, di gossip culturale”.
Con una strana equivalenza-omologazione, tra voyeurismo, politica e gossip.

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