astolfo
La
“prova regina” è la più falsificabile. L’intercettazione in sé, come viene
registrata e trascritta, peggio se sintetizzata e non nella sua estensione temporale,
interpretata e spiegata nelle sottigliezze, le allusioni, le frasi non completate.
E i toni: sonori, stilistici, abituali. La prova regina è uno “ghiommero”, un
complesso intricato.
C’è
poi il complesso dell’intercettatore, più intricato ancora. Questo sito ne ha
schizzato il ritratto
Ma l’argomento
non si può liquidare: l’intercettazione non è quella cosa semplice e chiara che
i media fanno credere – sempre meglio che fare giornalismo, cioè lavorare. E
problemi robusti pone, istituzionali e etici.
La giustizia scandalo
Non si può fare
un regolamento delle intercettazioni. E nemmeno degli appalti delle
intercettazioni. Le quali sono un’attività ora completamente “esternalizzata”,
in outsourcing o service. Una parte irrisoria delle intercettazioni viene effettuata
direttamente dalle forze di polizia. Quello delle intercettazioni è ormai un business,
con diecine di aziende operative. Non grande, sui 300 milioni di euro. Ma abbastanza
per avere un’associazione di settore, la Iliia. E un paio di migliaia di
addetti.
Il
regolamento non si può fare anche per questo motivo: che si regolerebbero gli
appalti, che ora sono invece discrezionali per ogni Procura. Qualche volta
anche con gara, invece dell’affidamento diretto, ma evidentemente addomesticati.
Il costo infatti può variare: a parità di difficoltà, capita che da una parte
si spende 3 e da un’altra si spende 15.
Le intercettazioni sono un veicolo della corruzione a palazzo di
Giustizia.
Molte intercettazioni
si fanno a solo scopo scandalistico e non di giustizia. Ne sono emerse a carico di Anna Maria Tarantola quando era alla Banca
d’Italia, senza nessuna ipotesi di reato. Di Bertolaso prima del terremoto
dell’Aquila, quando parlava con i membri della commissione Grandi Rischi,
sempre senza ipotesi di reato. Di Moggi per anni, il dg della Juventus, a opera
del tenente colonnello dei Carabinieri Auricchio. Di Buffon a opera della
Guardia di Finanza. Sempre senza
ipotesi di reato.
Intercettazioni non richieste dai giudici,
autorizzate ex post, emerse per caso, per inavvertenza. Anche per spocchia,
nella presunzione certa dell’impunibilità. È il secondo aspetto del fenomeno: l’intercettatore
non lavora per caso ma a un progetto, per la forza del ricatto?
Gli effetti sono devitalizzanti. “Le
chiacchiere uccidono”, dice il papa (Francesco, 16 febbraio 2014). Parlano
tutti col muso storto, allo stadio, alle cCamere, per la strada. Al ristorante
mugugnano. E in camera da letto? Probabilmente non hanno attività in camera da
letto, tanti trucchi spompano.
Grande Orecchio
Si
può non farsene scandalo, considerando la sua diffusione: L’intercettazione,
audio e video, è “normale”, e quasi fine a se stessa la scopomania eretta a
scopolatria, e a scopocrazia. Un’affermazione di potenza. Come se ci fosse un
Grande Orecchio in ascolto, al modo come lo scrittore Orwell l’ha ipotizzato in
“1984”. Per fini non noti, diversamente dal romanzo, ma comunque
destabilizzanti, servissero pure soltanto a un mercato del gossip invece che al giustizialismo, alle
vendette dei giudici.
Il
Grande Orecchio è peraltro universale nell’epoca di internet. Si sa che tutti
spiano tutti, le autorità ufficiali: gli Usa intercettano tutte le
comunicazioni di nemici e alleati. Gli europei si intercettano a vicenda.
Qualsiasi blogger sa – vede dalle statistiche google per esempio, segnate in
verde sempre più scuro - le sue elucubrazioni “intercettate” da ignoti, con
spiegamento di orecchi: non il lettore cui ambisce, ma agenzie specializzate,
che procedono occasionalmente “a strascico”, negli Usa, in Russia, in Israele,
verde scuro, poco più chiaro in Cina e in Germania. – a che fine non si sa.
Le intercettazioni hanno servito politicamente,
cause celebri. Contro Nixon per esempio. Ora forse contro Trump. O gli ascolti costanti della Stasi nella Germania dell’Est,
di cui si è fatto pure un film premiato, “Le vite degli altri” – ciò che
non ha impedito al sistema di collassare.
“La polizia moderna non
teme le parole, teme i fatti”, riflette C. Alvaro in “Quasi una vita”, p. 53:
“Ma anche le parole possono servire. Sono poche quelle che sfuggono a questo
sospetto. Ed è una fama divulgata ad arte, per dissociare il corpo sociale”.
Dissociare il corpo sociale, bisogna pensarci.
Stile
Le intercettazioni sono anche modello e stile di
scrittura. Della parte buona, alta (informativa, di richiamo) dei giornali:
politica, cronaca, economia, sport. E, per chi ancora legge, di una parte
cospicua della saggistica e della narrativa: la storia politica, la morale (la
filosofia), la giustizia, il giallo (politico, economico, sociale,
mafioso-noir, giudiziario-procedurale). I
dialoghi di più di un giallo sono calchi delle intercettazioni - lo
stile questurino. Per uno scrupolo di realismo, e d’immediatezza
dell’espressione. Ma anche – facendolo sapere al lettore – per stimolarne la
curiosità feticista. Il voyeurismo non è feticismo e lo è: è adorare la mutanda
sporca.
Le intercettazioni sono la
vecchia lettera anonima. Sono pubbliche, supportate dalla registrazioni. Non
sempre, solitamente anzi sono trascrizioni, passi scelti e interpretati, di cui
è impossibile ricostruire il contesto e verificare la rispondenza con
l’originale, producendosi migliaia di ore di ascolto. Ma sono selettive e
mirate, proprio come le lettere anonime, in forma di anticipazioni,
indiscrezioni, linee interpretative, pooling di notizie. O allora sono piani
segreti di entità segrete. Roba da 007, di autore autorevole anche se anonimo. E,
sceneggiati convenientemente, secondo un disegno, con ruoli fissati, senza
possibilità d’improvvisazione. I cronisti giudiziari, che grazie alle
intercettazioni sono giunti a monopolizzare i giornali, chi l’avrebbe detto,
erano poco sopra il redattore alle lettere, non sono felici.
Contro gli abusi delle intercettazioni e del pettegolezzo, all’insegna
fraudolenta della trasparenza.
Magris, “Segreti e no”, pp. 49-51, cita
il “Nuovo Dizionario di teologia morale”, a uso dei confessori. Alla voce
“Segreto”, redatta da Luciano Padovese. In cui, scrive Magris, “si esprime la
preoccupazione più viva di tutelare il segreto non quale ineffabile mistero
bensì quale difesa della dignità della persona e della sua intimità, della sua
verità interiore. In particolare si sottolinea come la sofistica crescita
tecnologica dei mezzi di comunicazione consenta sempre più inquietanti
violazioni dell’elementare vita quotidiana, in una spirale di comunicazione
globale che diviene espropriazione della persona, voyeurismo travestito da scienza
o da indagine sociologica, da denuncia politica, di gossip culturale”.
Con una strana
equivalenza-omologazione, tra voyeurismo, politica e gossip.
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