“Non ne posso più di
Verga, di Pirandello, di Tomasi di Lampedusa, di Sciascia. Non ne posso più di
vinti; di uno, nessuno e centomila; di gattopardi; di uomini, mezz’uomini,
ominicchi, pigliainculo e quaquaraquà. E sono stanco di Godfather, prima e
seconda parte, di Sedotta e abbandonata, di Divorzio all’italiana, di
marescialli sudati e baroni in lino bianco. Non ne posso più della Sicilia. Non
quella reale, ché ancora mi piace percorrerla con la stessa frenesia che afferrava
Vincenzo Consolo ad ogni suo ritorno. Non ne posso più della Sicilia
immaginaria, costruita e ricostruita dai libri, dai film, dalla fotografia in
bianco e nero. Oggi c’è una Sicilia diversa. Basta solo raccontarla”. Basta il
manifesto per dire il libro.
Materiali
per un racconto della Sicilia come è non difettano. Imprenditrici. Arte
contemporanea. Diritti omosessuali. Sperimentazione e innovazione culturale:
arte, arti applicate, musica. Savatteri sceglie questi materiali, le
“eccezioni”, forse per facilitare la lettura - da presumere indigesta, c’è
molto pregiudizio in giro, l’Italia è fatta così. La Sicilia ordinaria sarebbe
stata ancora più eccezionale. La protezione del patrimonio artistico, per
esempio, anche di quello ambientale. L’agrindustria. L’industria, con
tecnologia avanzata annessa. Tutto ciò che è “privato”. E la singolare,
inespugnabile, indigenza del pubblico,
istituzioni e politica insieme – sempre, di nuovo, “l’Italia” (la
sanità, per esempio, fa eccezione nel pubblico, ma è locale).
Un
calcio nel sedere, non alla Sicilia, ma al racconto della Sicilia. Che gli stessi
siciliani - questo Savatteri omette -
soprattutto si fanno, compiaciuti.
Che
cosa (non) sarebbe stata la Sicilia senza l’Italia?
È
un’ucronia che non si può fare. Ma il dubbio è lecito.
Gaetano
Savatteri, Non c’è più la Sicilia di una
volta, Laterza, pp. 261 € 16
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