Aneddoto - “Gli
aneddoti sono il passaporto di ogni morale e l’anti-narcotico di tutti i
libri”, Balzac, “Fisiologia del matrimonio”, 29. Danno licenza di creare, più
sveltamente che col ragionamento.
Arabesco
- L’arabesco
è la forma più antica e originaria della fantasia umana” - Fr.Schlegel. Da superare,
quindi.
Barocco – È parente del romantico - A.Huxley, “Along
the Road”. Barocco e romantico sono espressioni naturali della commedia:
Aristotele, Rabelais, Nashe, Balzac, Dickens, Rowlandson, Goya, Doré, Daumier.
Solo in mano a geni, Marlowe, Shakespare, Michelangelo, Rubens, il barocco ha
effetti credibili.
In
epoca più tarda l’effetto è grottesco: si tenta di esprimere il tragico con uno
stile essenzialmente comico.
Beat - A
Calvino non piacevano, troppo sporchi. È andato fino in America a vederli, e
sempre non gli piacquero. Niente poesia, diceva, niente scrittura, Ginsberg,
Kerouac, Ferlingehtti… I danni del partito sommando al borghese perbenismo.
Ma
è vero che sono iperletterati. Troppo. E parlano sempre di sé. Della loro
modesta bohème di provincia. Inventata. Truccata – non si esce dalle droghe.
Nemmeno dall’alcol. Fanno letteratura freudiana senza saperlo, come in “In
Treatment”.
Solo
Ginsberg ha dirazzato, via religione. Col fake
orientalismo di moda – fake
perché Budda sarebbe la negazione dell’individualismo. Kerouac ci ha tentato -
Kerouac che aveva a disposizione un
fondo cattolico, e l’ha lasciato intonso.
Benedetto XVI – Il papa “emerito” (pensionato) ha fatto lunedì i 90 anni, con
altri quattro libri a lui dedicati, scrive Giuliano Vigini su “La Lettura”. È
stato un fenomeno editoriale, attesta ancora Vigini, alimentando “un’imponente
biblioteca, anche oggi editorialmente più che cospicua, visto che in commercio
figurano ancora 586 titoli (420 testi e 166 saggi)”, suoi - libri, antologie,
saggi, interviste - o a lui dedicati.
Berecche e la guerra – Il racconto
“Guerra” di Pirandello, la cui letura dice utilissima per se stessa, è
raccomandato da Flannery O’Connor ad altro scrittore esordiente, Ben Griffith, che
le ha mandato da leggere un racconto, in termini molto calorosi nel 1955. Calorosi
soprattutto per lei, una scrittrice che pretendeva di avere letto poco e pochissimo.
Lo aveva letto in “Understanding Fiction”, un libro-manuale di scrittura dei tardi
anni 1940, autori Cleanth Broks e R.P.Warren: “Leggendo il suo racconto, me ne
son venuti subito in mente altri due che secondo me dovrebbe leggere prima di
cominciare a riscrivere questo. La lettura dei due racconti è tata per me un
aiuto prezioso e credo lo sarebbe anche per lei”.
O’Connor intende probabilmente il
racconto “Berecche e la guerra”, datato “Roma, fine del 1914, principio del 1915”, ma pubblicato nel 1919. In
cui Pirandello “un uomo di studio educato, come tanti allora,
alla tedesca, specialmente nelle discipline storiche e filologiche”. Uno come
lui insomma. E che, come lui stesso, abita in una traversa remota della via
Nomentana, un po’ credendosi anzi tedesco: “La Germania, durante il lungo
periodo dell’alleanza, era diventata per questi tali, non solo spiritualmente
ma anche sentimentalmente, nell’intimo della loro vita, la patria ideale”. Non
solo: “Vantava Federico Berecche, fino a pochi giorni fa, la sua origine
tedesca, chiaramente dimostrata, oltre che dalla quadrata corporatura, dal
pelame rossiccia e dagli occhi ceruli, anche dal cognome Berecche, corrotta
pronunzia, a suo credere, d'un nome prettamente tedesco”.
Ma
l’identificazione è soprattutto nell’autoanalisi, dell’Italiano tipicamente
infatuato della Germania: “Lì tappato nel suo studio, che nessuno lo
vede, Berecche si sente voltare il cuore in petto al ricordo di ciò ch’egli
intendeva per metodo tedesco, al tempo dei suoi studii, al ricordo delle
sodisfazioni ineffabili che esso gli dava quando con gli occhi stanchi della
faticosa paziente interpretazione dei testi e dei documenti, ma con la coscienza
tranquilla e sicura d’aver tenuto conto di tutto, di non essersi lasciato
sfuggire nulla, di non aver trascurato nessuna ricerca utile e necessaria,
palpeggiava, la sera, rincasando dalle biblioteche, là sul tavolino da studio,
il tesoro dei suoi schedarii voluminosi. E tanto più si sente sanguinare il
cuore, in quanto ora avverte con sordo livore, che per le sodisfazioni che gli
dava quel metodo egli, sotto sotto, commetteva la vigliaccheria di non dare
ascolto a una certa voce segreta della sua ragione insorgente contro alcune
affermazioni tedesche, che offendevano in lui non soltanto la logica ma anche,
in fondo in fondo, il suo sentimento latino: l'affermazione, per esempio, che
ai Romani mancasse il dono della poesia; e, accanto a questa affermazione, la
dimostrazione che poi fosse leggendaria tutta la prima storia di Roma. Ora, o
l'una cosa o l'altra. Se leggendaria, cioè finta, quella storia, come negare il
dono della poesia?” La Germania infine vedendo come un corpaccione spento:
“Goethe, Schiller, e prima Lessing, e poi Kant, Hegel... Ah, quand’era piccola,
quando ancora non era, la Germania, questi giganti! E ora, gigante, ecco qua, s’è
buttata, pancia a terra, con le mani afferrate sotto il petto e un gomito qua,
sul Belgio e in Francia, l'altro là su la Russia in Polonia: - Smovetemi, se
siete capaci!”
Céline – “In Céline, se ben
ricordo, ho sentito che nel suo sentimento della vita c’era profondità morale –
o meglio, è quello che ha fatto sentire a me la sua opera” – cioè “Il viaggio”
(Flannery O’Connor, “Sola a presidiare la fortezza, 106
Dialetto – È il presupposto di un
miglior uso della lingua? Keats, che
scrive una delle forme più pure dell’inglese, parlava cockney. Flannery
O’Connor, che ha molto sveltito l’angloamericano, con un accento della Georgia
che sopra Washington la rendeva spesso incomprensibile.
Dostoevskij – “L’Idiota” come simbolo
del Cristo è ipotesi già di Romano Guardini (numero autunnale di “Cross
Currents”, saggio di R.Guardini, dicembre 1956 – call)
Gambe – Quelle delle donne hanno
sostituito ogni altro richiamo. Per la novità, arguisce Lernet-Holenia per
bocca di un personaggio di “Marte in Ariete”: “Perché una volta le donne non
avevano certo gambe così graziose” – non avevano gambe. E porta a esempio l’Afrodite
di Cirene, la statua adrianea copia di una copia di Prassitele, che abbelliva
la sala Ottagona del’ex Planetario di Roma, ora restituita alla Libia. È una
statua acefala, con poco petto, e tutta gambe, “che si ha ragione di supporre
la famosa Anadiomene, creata da Apelle prendendo a modello un’amante di
Alessandro Magno”, dice lo scrittore. Ma concludendo: “Le gambe di questa
divina creatura non sono bellissime”.
Attraverso il suo personaggio,
l’italianista e latinista Lernet-Holenia arguisce che anche le gambe di Elena,
o di Frine, o di Procri “abbiano lasciato a desiderare: “Purtropoo era questo
lo stile dell’epoca. Anche Alcibiade e Antinoo, del resto, difficilmente
riusciamo a immaginarli in stivali da cavallerizzo”.
Giacobino – Esisteva prima della
rivoluzione francese. È predicatore in Piron.
Henry James – Si direbbe antifemminista:
l’autore di tanti personaggi femminili deprivava la “giovane donna del futuro” di
ogni sensibilità in tema di mistero o di maniere.
La perplessità è della maniera – della
“bravura”. Ma come di uno che non avesse mai avuto tentazioni, che in effetti
non gli si conoscono.
Tacito – “In Tacito muoiono tutti
avvelenati o suicidi”, Flannery O’Connor, “Sola a presidiare la fortezza”, 180.
Ed è vero.
letterautore@antiit.eu
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