Promozionata come l’eterna storia Rai del progresso dell’Italia dalla guerra a oggi, in
famiglia, nel rispetto delle donne, nel diritto familiare, un inno all’Italia
mite, operosa e coscienziosa, è invece il ritratto di un mondo che non ha
cessato di essere quello che era: ciecamente e duramente maschilista. Per chi
poco poco conosce le Venezie, al di fuori della recente richezza: un mondo
paleomaschilista, in famiglia, con i figli, e nel diritto.
Una
sorta di autogoal. Un curioso boomerang nell’ottimismo di maniera
dell’emittente pubblica. Qui aggiornato alle location sontuose, che dopo le due
serie di Terence Hill fanno testo ma Bibi Ballandi si è msso sulle tracce dei
Bernabei, come i Bernabei avevano spostato al Centro-Nord la sontuosità di
Degli Esposti e Sironi con i “Montalbano”. Un effetto lusso anzi moltiplicato,
con attori di nome e nel ruolo, e una drammaturgia quasi sempre efficace.
Comprese in buona misura le scene di sesso, che Milani-Balandi hanno parso in
gran numero nella prima puntata, più che in qualsiasi film, anche al cinema,
benché in prima serata. Esendo un’altra forma della violenza. Che però – è qui
l’effetto boomerang – si perpetua negli affetti familiari, sempre maschilisti.
Non più, forse, con urla e ceffoni, ma tacita sì. E accettata.
La
location veneta sarà stata scelta nel riequilibrio regionale delle produzioni
Rai. Non si spiega altrimenti tanto ottimismo: il maggiorascato è abolito da
tempo, ma non in quelle zone, dove tutto volentieri si lega al figlio maschio.
I beni e l’attività, e possibilmente un matrimonio dotato, con la casa, di
residenza e di vacanza, eccetera: prima viene il figlio maschio.
Su
questo sfondo la serie diventerebbe di denuncia. Mentre si vuole positiva, perfino
melensa – lo spettatore non si attende che il lieto fine, la figlia che prende
in mano l’azienda. Dopo liti, tradimenti, rotture (mariti che lasciano moglie e figli, mogli che lasciano marito e figli), alcol, droghe, e imbrogli. Dopo il solito film di un’ora e mezza-due dilatato in quattro puntate di tre ore l’una.
Riccardo
Milani, Di padre in figlia
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