Uno
degli scritti più ristampati ultimamente, anche da Storia e Letteratura, e da Nova
Delphi (questo del Melangolo beneficia di importanti dettagliate note, al
testo, biografiche, e cronologiche, di Marco Scavino). Un’agiografia maturata a
ridosso del rapimento e l’uccisione di Matteotti, per un’iniziativa politica
che poi invece abortì.
Gobetti,
egli stesso in quei giorni vittima di vessazioni da parte della prefettura
torinese, prima del prefetto Enrico Palmieri e poi, più duramente, del prefetto
Agostino d’Adamo, capì subito il senso della “scomparsa” del parlamentare
socialista il 10 giugno 1924, e subito ne scrisse su “La rivoluzione liberale.
Quando ancora i suoi compagni si interrogavano e facevano ipotesi sulla s
comparsa. Sorpreso ne sarebbe stato del resto lo stesso Mussolini, che per
alcune settimane vacillò, ma fu salvato
dalle divisioni e l’insipienza politica delle opposizioni, compresi i
socialisti di Matteotti. Quando “La rivoluzione liberale” uscì l’1 luglio
interamente dedicata a Matteotti, le opposizioni avevano già gettato la spugna.
Gobetti
insisterà - ai primi di agosto
“Matteotti” esce in volume, altri scritti si succedono su “La rivoluzione
liberale”. Ma solo in funzione di testimonianza. Era del resto incredibile, e
incredibilmente estesa, a Gobetti compreso, la sottovalutazione del fascismo,
come regime già in atto e come compattezza, anche per la capacità manovriera di
Mussolini. Fino al 1925, quindi un anno dopo il rapimento e l’assassinio di
Matteotti, e anche dopo. Votavano per il governo Giolitti e Salandra. E il
Vaticano: il papa Pio XI ammonì dopo l’assassinio di Matteotti contro “il salto
nel buio”, e costrinse don Sturzo all’esilio a Londra, il 25 ottobre 1924.
Il
16 agosto 1924 i resti di Matteotti furono ritrovati, nella macchia della
Quartarella, tra Sacrofano e Riano. La sepoltura si fece a Fratta Polesine. Il
funerale fu solo privato. Il 3 agosto, all’Amiata, Mussolini poteva già dire le
opposizioni “impotenti”. Ma, se si prescinde dalla valutazione incerta del
fascismo, del giovanissimo Gobetti colpisce sempre la sensibilità politica. E
questo ne è un caso. Gobetti mise rapidamente insieme le informazioni ricevute
da uno stretto collaboratore di Matteotti,
Aldo Parini, e il poco che si sapeva di Matteotti, la riservatezza soprattutto,
e l’intransigenza, e ne fece una pubblicazione che ha, ancora oggi, una valenza
esemplare.
È
il ritratto di un politico quale dovrebbe essere. Il socialista made in Italy era
“più il tribuno che il politico”, nota Gobetti, per quanto simpatetico.
Matteotti invece era “organizzatore: l’ossessione della semplicità, della
chiarezza, della praticità”. Senza albagia intellettuale o professionale:
“Esemplificava nei particolari, proponeva modelli di statuto, di regolamento”,
lavorava molto alle leghe e alle cooperative, “parlando coi contadini come uno
dei loro. Trattandosi di fondare una cooperativa pensava a tutto, consigliava
disponeva, dava l’esempio, dai modi di servire al banco alla contabilità dei
registri”.
Matteotti
come il contrario del politico notabile che ci affligge – “più il tribuno che
il politico…, una classe dirigente di avvocati, oratori facondi”. Un “giurista,
economista, amministratore, uomo politico”. Nel 1920 tutti i 63 comuni del
Polesine, la regione d’origine di Matteotti, erano amministrati da socialisti.
L’unico anche che sapeva del mondo, dove aveva viaggiato, conoscendo l’inglese
– per amore di Shakespeare.
Piero
Gobetti, Per Matteotti. Un ritratto,
il melangolo, pp.114 € 5,80
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