martedì 11 aprile 2017

Matteotti un modello, l’antifascismo vacuo

Uno degli scritti più ristampati ultimamente, anche da Storia e Letteratura, e da Nova Delphi (questo del Melangolo beneficia di importanti dettagliate note, al testo, biografiche, e cronologiche, di Marco Scavino). Un’agiografia maturata a ridosso del rapimento e l’uccisione di Matteotti, per un’iniziativa politica che poi invece abortì.
Gobetti, egli stesso in quei giorni vittima di vessazioni da parte della prefettura torinese, prima del prefetto Enrico Palmieri e poi, più duramente, del prefetto Agostino d’Adamo, capì subito il senso della “scomparsa” del parlamentare socialista il 10 giugno 1924, e subito ne scrisse su “La rivoluzione liberale. Quando ancora i suoi compagni si interrogavano e facevano ipotesi sulla s comparsa. Sorpreso ne sarebbe stato del resto lo stesso Mussolini, che per alcune settimane vacillò,  ma fu salvato dalle divisioni e l’insipienza politica delle opposizioni, compresi i socialisti di Matteotti. Quando “La rivoluzione liberale” uscì l’1 luglio interamente dedicata a Matteotti, le opposizioni avevano già gettato la spugna.
Gobetti insisterà  - ai primi di agosto “Matteotti” esce in volume, altri scritti si succedono su “La rivoluzione liberale”. Ma solo in funzione di testimonianza. Era del resto incredibile, e incredibilmente estesa, a Gobetti compreso, la sottovalutazione del fascismo, come regime già in atto e come compattezza, anche per la capacità manovriera di Mussolini. Fino al 1925, quindi un anno dopo il rapimento e l’assassinio di Matteotti, e anche dopo. Votavano per il governo Giolitti e Salandra. E il Vaticano: il papa Pio XI ammonì dopo l’assassinio di Matteotti contro “il salto nel buio”, e costrinse don Sturzo all’esilio a Londra, il 25 ottobre 1924.
Il 16 agosto 1924 i resti di Matteotti furono ritrovati, nella macchia della Quartarella, tra Sacrofano e Riano. La sepoltura si fece a Fratta Polesine. Il funerale fu solo privato. Il 3 agosto, all’Amiata, Mussolini poteva già dire le opposizioni “impotenti”. Ma, se si prescinde dalla valutazione incerta del fascismo, del giovanissimo Gobetti colpisce sempre la sensibilità politica. E questo ne è un caso. Gobetti mise rapidamente insieme le informazioni ricevute da uno stretto collaboratore  di Matteotti, Aldo Parini, e il poco che si sapeva di Matteotti, la riservatezza soprattutto, e l’intransigenza, e ne fece una pubblicazione che ha, ancora oggi, una valenza esemplare.  
È il ritratto di un politico quale dovrebbe essere. Il socialista made in Italy era “più il tribuno che il politico”, nota Gobetti, per quanto simpatetico. Matteotti invece era “organizzatore: l’ossessione della semplicità, della chiarezza, della praticità”. Senza albagia intellettuale o professionale: “Esemplificava nei particolari, proponeva modelli di statuto, di regolamento”, lavorava molto alle leghe e alle cooperative, “parlando coi contadini come uno dei loro. Trattandosi di fondare una cooperativa pensava a tutto, consigliava disponeva, dava l’esempio, dai modi di servire al banco alla contabilità dei registri”.
Matteotti come il contrario del politico notabile che ci affligge – “più il tribuno che il politico…, una classe dirigente di avvocati, oratori facondi”. Un “giurista, economista, amministratore, uomo politico”. Nel 1920 tutti i 63 comuni del Polesine, la regione d’origine di Matteotti, erano amministrati da socialisti. L’unico anche che sapeva del mondo, dove aveva viaggiato, conoscendo l’inglese – per amore di Shakespeare.
Piero Gobetti, Per Matteotti. Un ritratto, il melangolo, pp.114 € 5,80

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