Nell’estate
del 1765 nel villaggio di Abbeville in Piccardia due Crocefissi risultarono
danneggiati. Dell’oltraggio furono accusati, dopo un anno, alcuni govani. E uno
di essi, diannovenne, il cavaliere de la Barre, fu torturato, suppliziato e
decapitato. Senza prove, sulla base di testimonianze incerte, estorte. A opera
di un’accusa e un tribunale locali, rappresentati da giudici che con l’accusa
si vendicavano di loro affari privati. Contro il parere del vescovo, che
chiedeva comunque clemenza. Nella superficialità dei parenti prossimi del
giovane de la Barre, una zia badessa e un cugino d’Ormesson a Parigi, che
davano l’assoluzione per scontata. Il Parlamento di Parigi, giansenista e
distratto, interinò l’accusa e la condanna. Che fu eseguita in piazza, molto
cruenta, a furor di popolo malgrado la pioggia scrosciante
Il curatore, Tommaso Cavallo, spiega in dettaglio il caso.
Ma non dice purtropo nulla della lettera. Come e perché Voltaire si rivolse a
Beccaria, e cosa Beccaria rispose, o non rispose. Il nobile giurisperito
milanese non rispose – del resto il “delitto” era già stato consumato.
Beccaria aveva viaggiato a Parigi qualche settimana prima.
Ma di malavoglia, giusto per l’insistenza dei fratelli Verri, e dei filosofi
francesi che erano rimasti colpiti dalla traduzone del suo testo subito famoso,
“Dei delitti e delle pene”. Aprofittò di qualche malanno, più finto che vero,
per tornarsene presto a Milano, benché Parigi l’avesse accolto con simpatia.
Forse non gradiva l’ospitalità del barone d’Holbach, che lo patrocinava, un
materialista. I Verri lo sospettavano geloso della moglie. Il nonno di Manzoni,
il padre dell’avventurosa Giulia, che i ritratti dipingono pingue, brachilineo,
e di strabismo convergente, con gli occi minuscoli sul viso grande, era geloso
e non si trovava a suo agio nei salotti.
Con Voltaire mantenne una breve corrispondenza. Ma più sui
toni della cortesia. Voltaire condivideva l’ipostazione utilitaristica della
giustizia penale che Beccaria proponeva. Della pena indirizzata alla
redenzione, e comunque vissuta per la comune utilità. Voltaire andava però
oltre il quadro giurisprudenziale in materia di pene, quella di morte
considerando comunque un eccesso e un abuso. Due personalità corrispondevano
che erano agli antipodi. Ma non c’erano all’epoca i ruoli di oggi, che
avrebbero impedito a un francese di leggere un milanese, tanto meno di
apprezzarlo e indirizzargli una sorta di supplica.
Per altri aspetti, la lettera si legge come fosse di oggi.
Voltaire si rivolge all’illustre penalista perché dia un segnale contro il
sistema giudiziario francese. Ed eventualmente si schieri se Voltaire stesso
sarà incriminato. Voltaire fa il caso di un giudizio del tutto abusivo. Montato
e giudicato per interesse privato dei giudici. Ma interinato poi, nell’istanza
suprema, da un Parlamento prevalentemente giansenista. Che fu coperto da
un re, Luigi XV, libertino ma ligio, scansafatiche. Un evento non molto
diverso, esecuzione capitale esclusa, dai casi giudiziari celebrati di questo
millennio. “L’esecuzione del cavaliere De La Barre rattristò talmente Abbeville
e pose gli animi in un tale orrore, che non si ebbe il coraggio di proseguire
il processo contro gli altri accusati”, conclude Voltaire. Non sembra uno dei
nostri processi conclamati processi a perdere? Nella ex patria del nobile
Becacria – e proprio anzi nella sua città, Milano?
Un de la Barre, Poullain de la Barre, un secolo prima
aveva prodotto la “prova cartesiana” dell’uguaglianza delle donne, “De
l’égalité des deux sexes. Discours physique et moral où l’on voit l’importance
de se défaire des prejugés” - anche nelle scienze e in filosofia, “se
le donne studiassero nelle università con gli uomini o in altre appositamente
istituite”. Ma Voltaire non ne fa menzione.
Tra gli indizi contro il giovane de la Barre c’era il possesso, tra i tanti suoi libri al momento dell’arresto, di una copia del “Dizionario filosofico portatile” di Voltaire. Che si sapeva essere di Voltaire, ma ufficialmente anonimo. È questo indizio che Voltaire teme, pavido. Per prevenire probabili imputazioni di correità si mobilita, pur non avendo mai riconosciuto la paternità del “Dizionario” – di cui aveva curato ben tre ediioni tra il il 1764 e il 1765. Anche questa parte della storia è molto contemporanea: la pavidità e l’opportunismo dell’intelellettuale.
Tra gli indizi contro il giovane de la Barre c’era il possesso, tra i tanti suoi libri al momento dell’arresto, di una copia del “Dizionario filosofico portatile” di Voltaire. Che si sapeva essere di Voltaire, ma ufficialmente anonimo. È questo indizio che Voltaire teme, pavido. Per prevenire probabili imputazioni di correità si mobilita, pur non avendo mai riconosciuto la paternità del “Dizionario” – di cui aveva curato ben tre ediioni tra il il 1764 e il 1765. Anche questa parte della storia è molto contemporanea: la pavidità e l’opportunismo dell’intelellettuale.
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