Letta
a distanza, quindici anni dopo, questa raccolta del “rientro” di Alda Merini
nell’establishment letterario a Milano, dopo l’internamento, per vent’anni
alienata, alla vita e all’opera, e il matrimonio a Taranto con Michele Pierri,
il chirurgo poeta, la scolpisce e la limita. Sono cinque plaquettes, due degli anni
1995-200 (“Il figlio di Enea”, “Albergo a ore”, riunite sotto il titolo “Poemi
eroici”), e tre (“La donna di picche”, “L’anima”, “Coda” sotto il titolo
“Clinica dell’abbandono) degli anni 2000-2002.
La raccolta è
dedicata al futuro cardinale Ravasi.
Le prime plaquettes sono vere e proprie composizioni,
in solitario, riviste, riscritte anche. In un “parlato” che procede alacre,
seguendo al lungo periodo di clausura in manicomio, sotto la pressione violenta
(incontrollata, incontrollabile) dell’immaginario reale, di fatti e eventi,
situazioni, cose. Per la padronanza in vario modo spontanea, non coltivata (ricercata)
di tutta la panoplia poetica, la
strumentazione tecnica: discorsiva, elegiaca, evocativa, didascalica,
imperativa, riflessiva a volte, per iluminazione o sapienza. E tutte le
figurazioni, metafore, ellissi, analogie - non simbologie: sono eslcuse quasi
di programma, fuoriescono. E assonanze, dissonanze, anafore, troncamenti,
ortografici e logici.
Le seconde sono
dettate, come di getto, pratica che poi diverrà a Merini consueta, con amici e
semplici visitatori – a Roberto Rossi,
Alberto Casiraghi, Manuel Serantes, Vincenzo Mollica. Una pratica “importante”
per l’analisi dela poesia dei folli, da Hölderlin a Nerval, a Nietzsche, a Campana,
a Saro Napoli ultimamente (“Incom”). Si legge oggi come un selfie, in varia forma e foggia: una sorta di “immediatezza
studiata”, come istintuale, ma indirizzata a una buona presentazione. Immediatezza,
intuizione, rapidità. Dei movimenti, della creazione. Febbrilità.
Ci
sono già qui molte anagogie, come sarà poi sempre più frequente nella poesia di
Alda Merini. Ma avvoltolate di escrescenze corporali, anche violente o vili: è
poesia d’amore per lo più. “Poemi
eroici” è in realtà la plaquette
“Albergo a ore”. Con echi anche qui ricorrenti di Manganelli, dell’amore indigesto.
E poi di avventure. Di amori fisici, amplessi: “La lussuria è un monumento
segreto\ e pieno di silenzio”.
Si
legge come un selfie prolungato,
un’esasperazione dell’egolatria, del poeta lirico, affannoso anche, ma non
ingombrante – per il sottofondo di pietas
che accompagna la lettura-fruizione? Tra “topi di ventura che vagano entro la
fronte”. Tra forti ossimori, “naturali”. Nella resa: “Col solo nominarti\ ti
nego”, “In modo tanto tenebrosamente luminoso”. E nella costruzione: “Prima di
venire\ dimmi che sei già andato via”, “Tuona non appena f a bello”. O al gioco
delle antitesi, per assi incrociate: “l’esaltazione all’inferno”, “il sereno
nella bufera”, o viceversa.
Merini
richiederebbe a questo punto, esaurita l’ebrietà, una rilettura. Un
assestarmento-ricostruzione critico. In assenza, si prende per quello che è: un
fluire partecipe indistinto, anche se di acque pure.
Alda
Merini, Clinica dell’abbandono,
Einaudi, pp. 120 € 12
Nessun commento:
Posta un commento