domenica 30 aprile 2017

Ritorno alla vita con la poesia

Letta a distanza, quindici anni dopo, questa raccolta del “rientro” di Alda Merini nell’establishment letterario a Milano, dopo l’internamento, per vent’anni alienata, alla vita e all’opera, e il matrimonio a Taranto con Michele Pierri, il chirurgo poeta, la scolpisce e la limita. Sono cinque plaquettes, due  degli anni 1995-200 (“Il figlio di Enea”, “Albergo a ore”, riunite sotto il titolo “Poemi eroici”), e tre (“La donna di picche”, “L’anima”, “Coda” sotto il titolo “Clinica dell’abbandono) degli anni 2000-2002.
La raccolta è dedicata al futuro cardinale Ravasi.
Le prime plaquettes sono vere e proprie composizioni, in solitario, riviste, riscritte anche. In un “parlato” che procede alacre, seguendo al lungo periodo di clausura in manicomio, sotto la pressione violenta (incontrollata, incontrollabile) dell’immaginario reale, di fatti e eventi, situazioni, cose. Per la padronanza in vario modo spontanea, non coltivata (ricercata) di tutta la panoplia poetica, la strumentazione tecnica: discorsiva, elegiaca, evocativa, didascalica, imperativa, riflessiva a volte, per iluminazione o sapienza. E tutte le figurazioni, metafore, ellissi, analogie - non simbologie: sono eslcuse quasi di programma, fuoriescono. E assonanze, dissonanze, anafore, troncamenti, ortografici e logici.
Le seconde sono dettate, come di getto, pratica che poi diverrà a Merini consueta, con amici e semplici visitatori  – a Roberto Rossi, Alberto Casiraghi, Manuel Serantes, Vincenzo Mollica. Una pratica “importante” per l’analisi dela poesia dei folli, da Hölderlin a Nerval, a Nietzsche, a Campana, a Saro Napoli ultimamente (“Incom”). Si legge oggi come un selfie, in varia forma e foggia: una sorta di “immediatezza studiata”, come istintuale, ma indirizzata a una buona presentazione. Immediatezza, intuizione, rapidità. Dei movimenti, della creazione. Febbrilità.
Ci sono già qui molte anagogie, come sarà poi sempre più frequente nella poesia di Alda Merini. Ma avvoltolate di escrescenze corporali, anche violente o vili: è poesia d’amore per lo più.  “Poemi eroici” è in realtà la plaquette “Albergo a ore”. Con echi anche qui ricorrenti di Manganelli, dell’amore indigesto. E poi di avventure. Di amori fisici, amplessi: “La lussuria è un monumento segreto\ e pieno di silenzio”.
Si legge come un selfie prolungato, un’esasperazione dell’egolatria, del poeta lirico, affannoso anche, ma non ingombrante – per il sottofondo di pietas che accompagna la lettura-fruizione? Tra “topi di ventura che vagano entro la fronte”. Tra forti ossimori, “naturali”. Nella resa: “Col solo nominarti\ ti nego”, “In modo tanto tenebrosamente luminoso”. E nella costruzione: “Prima di venire\ dimmi che sei già andato via”, “Tuona non appena f a bello”. O al gioco delle antitesi, per assi incrociate: “l’esaltazione all’inferno”, “il sereno nella bufera”, o viceversa.
Merini richiederebbe a questo punto, esaurita l’ebrietà, una rilettura. Un assestarmento-ricostruzione critico. In assenza, si prende per quello che è: un fluire partecipe indistinto, anche se di acque pure.  
Alda Merini, Clinica dell’abbandono, Einaudi, pp. 120 € 12

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