Confessione - La prima persona - la confessione come
genere letterario - può essere artificiosa al quadrato. Quando non racconta in
tempo storico ma al presente storico, per esempio. Questo flusso è nato dalla
confessione in analisi, ma il lettore non è analista.
O lo
è? Si può configurare il lettore come analista, sconosciuto, impersonale, al
quale lo scrittore confida fantasmi e fantasie. Taciturno, dà però segni di
attenzione inequivoci, indicazioni nette.
E se
non li da? Se il lettore, per esempio, non c’è?
Alcune
nevrosi si complicano nella confessione, invece di srotolarsi.
Dandy
–
È “solitario e singolare” (Françoise Dolto), oppure l’esteta ricercato del
decadentismo, che ne creò la figura – Baudelaire, Eugène Sue, Barbey D’Aurevilly,
Théophile Gautier, Lord Brummell, Oscar Wilde? O il prototipo non è Schopenhauer
– anche Kierkegaard: di chi aggredisce la vita, più che rifletterla?
Dialogo
–
Sembra – si popone come – uno scambio, ma non è, è solo una forma diversa della
narrativa, e più spesso irrelata all’interlocutore. Che può essere un fantoccio,
giusto per giustificare l’escandescenza – la ejaculation.
Anche nella narrativa è artificio
debole. Sono deboli i dialoghi in Tolstoi, tra personaggi ininfluenti nella
storia e nemmeno caratterizzati. Debolissimi in Proust, dove si ricordano solo
per la ripetitività. Insensati in Dostoevskij.
Se ne possono fare alla Margaret Millar,
come una forma di azione: il dialogo attualizza tutto, e quindi esime dalla
descrizione e dai riferimenti, nonché dagli aggettivi e dagli avverbi. Una buona
tecnica, ma non segnante, non muta l’impermeabilità dello scambio.
Il dialogo non fissa la memoria. Anche
nei processi, negli interrogatori. Non “c’è dialogo”, una verità cioè che si
forma-s’innesta sulla contestazione, ma un sollevare reciproco di pietre
d’inciampo. È un gioco sonoro degli scacchi.
Femminismo – Ma non è l’eclisse
della donna, invece che la sua affermazione? Non di una “certa” donna, da
fotoromanzo: dell’essere donna, reale e ideale.
Un’eclisse non alla Antonioni: sociologica. Il femminismo non
libera, cancella.
Humour
–
Ha insolita trattazione in Schumann, il musicista, che lo sistematizza, come un
collante reattivo. Nell'arabesco schumanniano anche, digressione dal flusso
narrativo non a fini ornamentali ma costruttivi. E più nella trattazione di
Jean Paul, dell’Humor (il “sublime al rovescio” di Jean Paul), dell’Humoreske.
Con il Witz, o arguzia del sentimento,
che “può trasformare una serie di frammenti sconnessi in una costellazione di
termini misteriosamente collegati”.
Kafka – O della molteplicità
(caleidoscopica) del reale. Il demoniaco nell’ordinario. L’effetto metafisico
dal linguaggio realistico, preciso. L’effetto esotico o di sottile allucinazione,
del reperto banale, materiale o di linguaggio.
Misericordia
–
È la porta stretta o la porta larga alla beatitudine? Il papa Francesco l’ha
voluta a tema di un giubileo specialissimo, che ha appena chiuso. Senza
speciali esiti, in armonia, si può dire, col pensiero diminutivo che Heine ha
sintetizzato morendo: “Dio mi perdonerà. È il suo mestiere”. Ma la salvezza non
passa per la porta stretta – più della cruna dell’ago?
Fu l’indulgenza all’origine della
divisione della chiesa, l’unica che la cristianità non ha saputo assorbire.
Nietzsche
–
La sua “tragedia greca” è, sostiene Alberto Savinio, “Nuova Enciclopedia”, in
una lunga nota alla voce “Tragedia”, quella di Wagner. Che è il contrario della
tragedia greca. Per un fatto di economia: “Wagner dà 100 per avere 10, mentre
il Greco dà 10 per avere 100”. Per
“l’assenza totale dall’opera di Wagner dello spirito della danza”. E per un
fatto di cognizione: “Nietzsche ha creduto scoprire l’origine della tragedia
nel contrasto fra dionisiaco e apollineo”, ma “nulla in Grecia può nascere che
non nasca da un oggetto”. Nonché con Wagner, “Nietzsche ha scambiato
evidentemente la Grecia con i grandi paesi oscuri e religiosi dell’oriente:
l’origine della tragedia con l’uovo che galleggia sulle acque”. Non sa che “in
quel Paese degli Oggetti diventato per virtù dei suoi artisti il Paese de
Giochi, è l’oggetto che genera lo spirito, non lo spirito che genera l’oggetto”
.
Punto di vista - Nei romanzi di avventure, da Omero a
Boccaccio, e alla “Mille e una notte”, e nelle favole, il punto di vista è di
nessuno. Popper direbbe il contrario, ma la narrazione si appartiene. Il punto
di vista vi è stato introdotto come una variazione.
Ineffettualità
(arbitrarietà) del punto di vista: la storia si legge sempre all’incontrario,
ex post - basta non affaticare il lettore.
Produttore - L’imprenditore è più “positivo”,
matematicamente, dell’intellettuale per la società - per la sua cultura. Non
perché produce, non tanto, ma perché idea, progetta, scopre, innova, vivifica,
e quindi libera, crea (apre) spazi. Anche l’intellettuale lo fa ma solo a
livelli sommi. Mentre il produttore, dal risuolatore di scarpe al grande
chirurgo, per quanto possa essere rozzo, di gusti limitati, di linguaggio
ripetitivo e insignificante, per il semplice fatto di produrre, realizzare qualcosa,
crea o condiziona la cultura della società in cui vive, il suo modo d’essere.
L’esempio massimo è – è stato - la catena: fordismo >> civiltà dei
consumi >> cultura di massa >> tempo libero e turismo.
Il
misconoscimento di questo semplice fatto, già peraltro indagato, non solo da
Marx, può essere all’origine dell’insussistenza dei “buoni propositi” in politica
nella scena attuale, della politica politicante o di professione (Max Weber),
intellettuale. Propositi logorati dalla ripetitività e dalla inffettualità. Spazzati
via ora a catena da operatori per altri versi attivi e produttivi – dei quali
cioè i propositi hanno dato esiti concreti.
zeulig@antiit.eu
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