Agnelli
all’Antimafia, “la potente famiglia italiana” alla mercé di Rosy Bindi, fa
venire il dubbio che l’Italia non sia, non sia stata, piemontese ma romana,
papale – Bindi è di Siena. Che non si sia formata e non viva sull’imprinting sabaudo,
per quanto beghino, ma su quello dello Stato pontificio. La casuale
concomitante rilettura di un classico del 1859, “Roma contemporanea” di About, che
questo esito presagiva, consolida prepotente l’impressione: uno dei pilastri
dello Stato pontificio era la “giustizia” fatta in famiglia.
“Non
molleremo l’osso”, dice la capa dell’antimafia, che ha dovuto cercare
l’elezione in Calabria, l’unica eletta in quella regione senza voto di scambio.
Furba, certo: “Che la malavita sia arrivata perfino alla Juventus”. In fondo i
piemontesi, potenti e tutto, sono dabbenuomini, che stanno ala mercé di giudici
napoletani, il Pecoraro di oggi come dieci anni fa gli ineffabili Narducci e
Beatrice, che ci costruirono sopra memorabili carriere – Narducci che assolveva
il suo proprio figlio, e Beatrice, avete mai parlato col procuratore Beatrice?
– all’insegna del meglio che lavorare.
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