Singolare
e affascinante è l’avvitamento dell’“America” contro Trump. Dell’America che
conta cioè: media, affari, gruppi di comando politici. Roba da Svetonio, da
Plutarco, gli autori delle vite “contemporanee” dell’impero romano.
Il
desiderio di sbarazzarsi di Trump è stato istantaneo e generalizzato subito all’elezione.
Per tutti i due mesi prima del passaggio dei poteri. E dopo un periodo
brevissimo, non più di una diecina di giorni, dall’accesso – esaurite cioè le nomine.
Ma prima che Trump avesse cominciato a
governare effettivamente.
La
critica delle istituzioni è libertà. Indubbiamente. Ma l’unanimità è sospetta:
non è democratica. I tempi sono anche curiosi. Democrazia è accettare il voto
delle elezioni.
Contro
le elezioni si sono avuti esempi di rifiuto, anche in campo occidentale, anche
in Italia - basti pensare a Scalfaro. Ma sono golpe, seppure incruenti, e
perfino istituzionali. Non si chiudono le Camere appena elette. Non si manda un
presidente appena eletto sotto processo.
Si
è criticato Trump prima del voto, e dopo, prima dell’insediamento, per i suoi
propositi. Per i suoi modi. Per la ricchezza, che potrebbe essere sospetta. Ma
allora tanto più Trump si penserebbe da accettare se è stato eletto contro questi
handicap.
L’opinione
pubblica è invece singolarmente acritica, e anzi elogiativa, con Obama. Un
presidente poco concludente sul piano interno
e catastrofico nei rapporti esterni. Con la Cina. Col radicalismo arabo. Con
l’Europa. Il presidente che ha esumato la guerra fredda.
Trump
vittima della sua xenofobia? Le sue misura anti-immigrazione sono state
cassate, ma l’America respira perché da alcuni mesi non ha più flussi di nuovi
immigrati.
La
Russia. È difficile capire che gli hacker russi abbiano potuto determinare l’esito
delle presidenziali, e nessuno lo spiega, delle tante polizie che dicono di
occuparsene. È difficile anche concepire una squadra di hacker russi comandati
da Putin: il web non si presta a una cavalcata, sia pure senza mezzi cingolati
e artiglierie pesanti.
Gli
affari di Trump con Putin personalmente. Ma non si fa nulla per venirne a capo:
un indirizzo, una sigla, uno specifico affare.
Tutta
roba da servizi segreti: insinuare, diffondere voci e ipotesi. Ogni giorno una
che superi (“ammazzi” nel gergo giornalistico angloamericano, la faccia
dimenticare) la precedente. Ma diffusa dai maggiori media. Nel nome della
difesa della libertà.
L’Italia
ha vissuto questa stagione, da piazza Fontana in poi, dell’informazione
dominata dalle “veline”. Una permeabilità attribuita alla debolezza della
democrazia in Italia. Ma negli Usa?
Si
intercetta anche liberamente Trump, che pure è il presidente degli Stati Uniti.
E si diffonde attraverso giornali prescelti tutto ciò che ha detto. Non
propriamente ciò che ha detto e non al dettaglio: si diffonde l’intercettazione
con gli schemi del montaggio, per il maggiore effetto.
Si
fa grande caso del giornalismo investigativo. Ma su Trump non si indaga, che
pure dovrebbe essere facile. E poi nello stesso suo habitat naturale, gli Usa,
il giornalismo investigativo è, nove casi su dieci, di parte, anonima. Di
interessi concorrenti, e di servizi segreti e polizie.
Tutto
ciò fa parte della democrazia e ne è anzi il meccanismo principale? La
democrazia sarebbe allora infetta – dalla polis,
che Canfora ha smascherato, in poi. E la politica hobbesiana, l’opinione pubblica hobbesiana, la democrazia un
residuo. O un’esca e un tranello.
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