“Non esiste
passione più dominante e istintiva nello spirito umano del bisogno della terra
cui si appartiene”, è la considerazione centrale della prima prova narrativa di
Gertrude Stein, “Come volevasi dimostrare”, 1903. Di una che non aveva patria.
Questo si dice, prosegue, “dei montanari svizzeri, degli scandinavi, dei
francesi e di tutte le altre nazioni che hanno un background poetico”, ma vale
ovunque, tra i poveri di Londra o tra le praterie: “Arriva sempre il momento in
cui nulla è così importante come una boccata della propria aria e del proprio
clima. Se si dovessero spendere gli ultimi soldi che ci rimangono sarebbero
certo spesi in quel biglietto di ritorno”.
“Irlanda, puoi
amarla ma non puoi viverci”, Gay Talese fa dire a Peter O’Toole, che torna
nell’isola dove è nato e cresciuto. Ci sono terre da cui si emigra,
volontariamente.
“Adolphe”, il
romanzo di fondazione del genere romantico, Benjamin Constant finge che si sia
ritrovato in un albergo di Cosenza tra
le carte di uno sconosciuto. Perché Cosenza? La Calabria era ancora (1816) “pittoresca”,
evocazione di un mondo remoto.
Londra, che è la
città europea più amata dal turismo, era all’inizio del Novecento, nel racconto
di G.Stein, “Come volevasi dimostrare”, “il peso morto di quell’aria carica di
nebbia e di fumo, il cielo che non suggerisce mai quel pulito spazio azzurro
che per tanto tempo è stato il nostro compagno quotidiano, il sole tetro, la
luna e le stelle che sembrano imitazioni dipinte sul soffitto di una stampa
piena di fumo, le strade umide, sporche, tristi, e le donne con le sottane
inzaccherate, sfilacciate, le facce gonfie e foruncolose per lo sporco che è
penetrato dentro la pelle ed è diventato un elemento naturale della loro
superficie…”. Ci sono cicli nella storia: la storia si fa..
La mafia è una delle mafie
Dice e non
dice il capitano dei Carabinieri Scafarto incaricato a Napoli delle indagini su
Renzi padre, accusato a Roma di avere
manomesso una intercettazione telefonica. Non dice: “Ho sbagliato”. Non
dice nemmeno: “È un caso d’imperizia”. Oppure: “Le intercettazioni noi non
siamo addestrati a farle”. Dice e ripete: “Ho condiviso tutto con il giudice
Woodcock”. Cioè ricatta. Non dice infatti: “Woodcock mi ha detto e io ho fatto”.
Aspetta.
Il
capitano Scafarto – o il giudice Woodcock, a sentire Scafarto – non aveva
attaccato soltanto Renzi, ma anche mezza arma dei Carabinieri. Che tace.
Il “Corriere della sera” fa il caso della pubblicità delle aste giudiziarie di Milano assegnata dal Tribunale a scatola chiusa a una società di scatole cinesi, anonime, da paradisi fiscali. Un affare da un milione di euro, che più mafioso non si può.
Un appalto
connesso, e già questo è sospetto, alle “attività propedeutiche all’avvio del
processo civile telematico”, ma vinto con un ribasso monstre, del 75 per cento rispetto alla cifra base d’asta.
L’appalto è
passato da zio (“chi scriveva il bando”, forse una zia) a nipote (“chi lo
vinceva”).
Le Procure che
hanno indagato, Milano e Brescia, su denuncia della concorrenza, si sono
rimpallate la pratica e hanno deciso di
non farne niente.
E poi c’è il
giornale. La prosa del cronista del quotidiano milanese Ferrarella non è
comprensibile,
È la denuncia
di un malaffare. Di due malaffari, l’appalto e l’inchiesta. Ma omertosa in
tutto. L’indignato cronista sta bene attento a non dire il nome dello zio, o
zia, e del nipote dell’affaruccio.
Dietro l’illeggibilità
Ferrarella racconta una storia di appalti truccati a palazzo di Giustizia a
Milano e di rifiuto dei giudici di perseguirne i resposnabili. Ma come se fosse
ordinaria amministrazione.
Il Palermo, la squadra
di calcio, ormai retrocessa in serie B, se perde domenica anche l’ultima
partita guadagna quindici milioni - un quarto, forse un terzo, del suo fatturato. Si
gioca dunque per perdere, secondo la legge italiana. Senza scandalo.
L’ultima partita il Palermo
gioca contro l’Empoli, che ha assoluto bisogno di vincere per non andare in
serie B. Il premio al Palermo sconfitto è dunque anche un’assicurazione per l’Empoli.
Vittima della
controassicurazione è la squadra del Crotone, che la vittoria dell’Empoli
condanna in sua vece alla serie B. Senza mafia naturalmente, né alla Lega
Calcio né alla Figc, la federazione – la mafia, come si sa, è col Crotone, in
Calabria.
Due domeniche fa
la squadra calabrese era stata condannata, indirettamente, già a Roma, dalla
Juventus. Che ha giocato contro la Roma per perdere, schierando riserve, e non
parando i gol. Obbligandosi a schierare il meglio di sé la domenica successiva
proprio contro il Crotone, per assicurarsi i tre punti necessari a vincere il
campionato. Due storie non sanguinose. Ma quanto prepotenti.
Per non dire degli errori arbitrali tutti a senso unico contro il Crotone nel girone di andata.
La potenza del discorso
Si scorrono col
sorriso e l’empatia i narratori dell’America Latina, tutti peraltro celebrati
universalmente, Borges, Amado, Garcia Marquez, Vargas Llosa, Sepúlveda, in vigorose
creazioni di miti e mondi rutilanti della parola, a fronte di una realtà ovunque
variamente esecrabile e irriformabile, sociale, economica, politica. Mondi
poetici, fortemente, fantastici, amabili, superiori. Mentre il “discorso” del Sud
è invece rancoroso, distruttivo, cattivo. Sempre, radicalmente, anche se la realtà
non manca di spunti difendibili e perfino positivi.
Il discorso
positivo promuove la simpatia. Che non dà fatturati ma fiducia sì, in se stessi. Che invita magari al ripiegamento e rischia
il folklore (dal Messico in giù straripante), lo strapaese, l’inerzia, nel
compiacimento . Ma è meglio, molto, dell’acido esecratorio.
Il Sud lo sa,
ci fu un Sud mitico, prima della “questione meridionale”. Dei grandi narratori
siciliani, Verga,
Capuana, De Roberto, Pirandello – una tradizione ora ripresa da Camilleri. Scrittori
non accomodanti e anzi “tremendisti”, che però discernevano. O di Corrado
Alvaro. O dei grandi napoletani, da De Sanctis e Croce fino a Totò. Ora il Sud
quale è è residuale, in narratori calabresi da secondo e terzo scaffale,
ricordati unicamente dagli amici, anzi chiusi nello stanzino di paese, senza
finestre, che invece hanno e danno allegria, Zappone, Delfino. Il Sud è tutto
mafia, da Sciascia a Bocca e Saviano, senza respiro.
Il “discorso” è di Foucault – è la
narrazione - ed è al centro della sua “archeologia del sapere”. Che lo ha
portato a tanti sorprendenti e veritieri lavori di scavo, sulla follia, la
malattia, il carcere, la sessualità, il piacere. Il discorso è la realtà della cosa, non ce n’è altra. Un “dispositivo”,
lo dice l’archeologo del potere: la sua realtà non si pone, viene organizzata.
Non una struttura, una cosa in sé. O allora si chiami struttura ma sapendo che
viene elaborata e imposta.
Non è una
novità. Il discorso di Foucault è la frase fatta o luogo comune di Flaubert, l’opinione
di Nietzsche, l’Idealtypus di Max Weber, i modi di Spinoza, le monadi di
Leibniz, i multipli di Platone. Il pregiudizio. Lo stereotipo. Ma non avulso
dalla realtà, e anzi suo fondamento – dispositivo.
Non è una
novità, lo stereotipo non è nuovo. La novità è che è fisso, almeno al e sul
Sud. Indefettibile, immutabile. Il discorso di Foucault si caratterizza per essere
storico, mutevole – per mutazioni ininterrotte nei secoli, benché misteriose.
Quello del Sud è immutabile. Restrittivo e punitivo.
leuzzì@antiit.eu
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