venerdì 26 maggio 2017

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (327)

Giuseppe Leuzzi

“Non esiste passione più dominante e istintiva nello spirito umano del bisogno della terra cui si appartiene”, è la considerazione centrale della prima prova narrativa di Gertrude Stein, “Come volevasi dimostrare”, 1903. Di una che non aveva patria. Questo si dice, prosegue, “dei montanari svizzeri, degli scandinavi, dei francesi e di tutte le altre nazioni che hanno un background poetico”, ma vale ovunque, tra i poveri di Londra o tra le praterie: “Arriva sempre il momento in cui nulla è così importante come una boccata della propria aria e del proprio clima. Se si dovessero spendere gli ultimi soldi che ci rimangono sarebbero certo spesi in quel biglietto di ritorno”.

“Irlanda, puoi amarla ma non puoi viverci”, Gay Talese fa dire a Peter O’Toole, che torna nell’isola dove è nato e cresciuto. Ci sono terre da cui si emigra, volontariamente.

“Adolphe”, il romanzo di fondazione del genere romantico, Benjamin Constant finge che si sia ritrovato in  un albergo di Cosenza tra le carte di uno sconosciuto. Perché Cosenza? La Calabria era ancora (1816) “pittoresca”, evocazione di un mondo remoto.

Londra, che è la città europea più amata dal turismo, era all’inizio del Novecento, nel racconto di G.Stein, “Come volevasi dimostrare”, “il peso morto di quell’aria carica di nebbia e di fumo, il cielo che non suggerisce mai quel pulito spazio azzurro che per tanto tempo è stato il nostro compagno quotidiano, il sole tetro, la luna e le stelle che sembrano imitazioni dipinte sul soffitto di una stampa piena di fumo, le strade umide, sporche, tristi, e le donne con le sottane inzaccherate, sfilacciate, le facce gonfie e foruncolose per lo sporco che è penetrato dentro la pelle ed è diventato un elemento naturale della loro superficie…”. Ci sono cicli nella storia: la storia si fa..

La mafia è una delle mafie
Dice e non dice il capitano dei Carabinieri Scafarto incaricato a Napoli delle indagini su Renzi padre, accusato a Roma di avere  manomesso una intercettazione telefonica. Non dice: “Ho sbagliato”. Non dice nemmeno: “È un caso d’imperizia”. Oppure: “Le intercettazioni noi non siamo addestrati a farle”. Dice e ripete: “Ho condiviso tutto con il giudice Woodcock”. Cioè ricatta. Non dice infatti: “Woodcock mi ha detto e io ho fatto”. Aspetta.
Il capitano Scafarto – o il giudice Woodcock, a sentire Scafarto – non aveva attaccato soltanto Renzi, ma anche mezza arma dei Carabinieri. Che tace.

Il “Corriere della sera” fa il caso della pubblicità delle aste giudiziarie di Milano assegnata dal Tribunale a scatola chiusa a una società di scatole cinesi, anonime, da paradisi fiscali. Un affare da un milione di euro, che più mafioso non si può.
Un appalto connesso, e già questo è sospetto, alle “attività propedeutiche all’avvio del processo civile telematico”, ma vinto con un ribasso monstre, del 75 per cento rispetto alla cifra base d’asta.
L’appalto è passato da zio (“chi scriveva il bando”, forse una zia) a nipote (“chi lo vinceva”).
Le Procure che hanno indagato, Milano e Brescia, su denuncia della concorrenza, si sono rimpallate la pratica e hanno  deciso di non farne niente.
E poi c’è il giornale. La prosa del cronista del quotidiano milanese Ferrarella non è comprensibile,
È la denuncia di un malaffare. Di due malaffari, l’appalto e l’inchiesta. Ma omertosa in tutto. L’indignato cronista sta bene attento a non dire il nome dello zio, o zia, e del nipote dell’affaruccio.
Dietro l’illeggibilità Ferrarella racconta una storia di appalti truccati a palazzo di Giustizia a Milano e di rifiuto dei giudici di perseguirne i resposnabili. Ma come se fosse ordinaria amministrazione.

Il Palermo, la squadra di calcio, ormai retrocessa in serie B, se perde domenica anche l’ultima partita guadagna quindici milioni - un quarto, forse un terzo, del suo fatturato. Si gioca dunque per perdere, secondo la legge italiana. Senza scandalo.
L’ultima partita il Palermo gioca contro l’Empoli, che ha assoluto bisogno di vincere per non andare in serie B. Il premio al Palermo sconfitto è dunque anche un’assicurazione per l’Empoli.
Vittima della controassicurazione è la squadra del Crotone, che la vittoria dell’Empoli condanna in sua vece alla serie B. Senza mafia naturalmente, né alla Lega Calcio né alla Figc, la federazione – la mafia, come si sa, è col Crotone, in Calabria.
Due domeniche fa la squadra calabrese era stata condannata, indirettamente, già a Roma, dalla Juventus. Che ha giocato contro la Roma per perdere, schierando riserve, e non parando i gol. Obbligandosi a schierare il meglio di sé la domenica successiva proprio contro il Crotone, per assicurarsi i tre punti necessari a vincere il campionato. Due storie non sanguinose. Ma quanto prepotenti.
Per non dire degli errori arbitrali tutti a senso unico contro il Crotone nel girone di andata.

La potenza del discorso
Si scorrono col sorriso e l’empatia i narratori dell’America Latina, tutti peraltro celebrati universalmente, Borges, Amado, Garcia Marquez, Vargas Llosa, Sepúlveda, in vigorose creazioni di miti e mondi rutilanti della parola, a fronte di una realtà ovunque variamente esecrabile e irriformabile, sociale, economica, politica. Mondi poetici, fortemente, fantastici, amabili, superiori. Mentre il “discorso” del Sud è invece rancoroso, distruttivo, cattivo. Sempre, radicalmente, anche se la realtà non manca di spunti difendibili e perfino positivi.
Il discorso positivo promuove la simpatia. Che non dà fatturati  ma fiducia sì, in se stessi.  Che invita magari al ripiegamento e rischia il folklore (dal Messico in giù straripante), lo strapaese, l’inerzia, nel compiacimento . Ma è meglio, molto, dell’acido esecratorio.
Il Sud lo sa, ci fu un Sud mitico, prima della “questione meridionale”. Dei grandi narratori siciliani, Verga, Capuana, De Roberto, Pirandello – una tradizione ora ripresa da Camilleri. Scrittori non accomodanti e anzi “tremendisti”, che però discernevano. O di Corrado Alvaro. O dei grandi napoletani, da De Sanctis e Croce fino a Totò. Ora il Sud quale è è residuale, in narratori calabresi da secondo e terzo scaffale, ricordati unicamente dagli amici, anzi chiusi nello stanzino di paese, senza finestre, che invece hanno e danno allegria, Zappone, Delfino. Il Sud è tutto mafia, da Sciascia a Bocca e Saviano, senza respiro.
Il “discorso” è di Foucault – è la narrazione - ed è al centro della sua “archeologia del sapere”. Che lo ha portato a tanti sorprendenti e veritieri lavori di scavo, sulla follia, la malattia, il carcere, la sessualità, il piacere. Il discorso è la realtà della cosa, non ce n’è altra. Un “dispositivo”, lo dice l’archeologo del potere: la sua realtà non si pone, viene organizzata. Non una struttura, una cosa in sé. O allora si chiami struttura ma sapendo che viene elaborata e imposta.
Non è una novità. Il discorso di Foucault è la frase fatta o luogo comune di Flaubert, l’opinione di Nietzsche, l’Idealtypus di Max Weber, i modi di Spinoza, le monadi di Leibniz, i multipli di Platone. Il pregiudizio. Lo stereotipo. Ma non avulso dalla realtà, e anzi suo fondamento – dispositivo.
Non è una novità, lo stereotipo non è nuovo. La novità è che è fisso, almeno al e sul Sud. Indefettibile, immutabile. Il discorso di Foucault si caratterizza per essere storico, mutevole – per mutazioni ininterrotte nei secoli, benché misteriose. Quello del Sud è immutabile. Restrittivo e punitivo.

leuzzì@antiit.eu

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