Arriva
al G 7 con un solido grappolo di novità, il chiacchierato Trump. Con qualche
successo, nel blocco dell’immigrazione illegale, e on un periodo di grazia
ormai di sei mesi nella radicalizzazione interna, di tipo razzista (polizia) e
integralista (mussulmani). E con Ucraina, Iran e Siria: tre fronti che può
chiudere di colpo, onorevolmente, tornando a parlare con la Russia, con Putin. L’ultimo
partner mondiale con cui ancora non ha stabilito un contatto – aspettando forse
di liberarsi del ricatto Fbi.
Sono
i tre fronti aperti improvvidamente da Obama, senza cioè un disegno o un
assetto da perseguire. Che L’Iran non diventi potenze nucleare, questo si può
ottenerlo senza concessioni, e senza guerre preventive, basta accordarsi con la
Russia, che fornisce il materiale fissile e la tecnologia. Il “rompicapo”
siriano, creato da Obama, si scioglie solo d’accordo con la Russia: l’unica uscita
onorevole (l’allontanamento di Assad, o la regionalizzazione della Siria) passa
per Mosca, ormai solidamente insediata a Damasco – una perfomance senza nessun
precedente, neanche d’immaginazione, e quasi avveniristica, da fantapolitica,
di cui in Occidente si tace ma che ogni diplomazia sa quanto pesa. In Ucraina
l’intesa con Mosca è l’unica via per mantenere il paese ancora unito e
indipendente, malgrado la perdita ormai irreversibile della Crimea: a rischio
c’è anche il Donbass, la metà russa dell’Ucraina. E senza intesa, come tenere
l’Ucraina unita, con la guerra – certo, non con le sanzioni?
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