Trump ha messo al
centro gli arabi nel Medio Oriente. Sembra la scoperta dell’acqua calda, ma è
un approccio nuovo, potenzialmente risolutivo. Un fato rivoluzionario, anche se
passato sotto silenzio, per la consegna dell’antitrumpismo.
Risolutivo per la
stabilità politica della regione, minacciata dall’integralismo. E anche per il
conflitto con Israele. E ora anche con l’Iran, con lo sciismo.
Sorprendente è comunque
l’approccio trumpiano, di mettere gli arabi al centro delle questioni arabe. Non
le logiche dei blocchi, che pure Obama ha risuscitato. Non la democrazia, che
Bush jr. ha evocato per non sapere che fare col terrorismo. Non la logica di
potenza. È un approccio che incuriosisce e anche entusiasma la Farnesina, che
lo giudica infine “realistico”: negoziare col mondo arabo è confrontarlo, e per
prima cosa rimetterlo alle sue proprie responsabilità, questo il canone.
L’approccio della
nuova presidenza americana – opera di Trump l’affarista, dealer navigato? di Kushner, il genero-consigliori di famiglia ebraica? di entrambi? – è considerato promettente su tre presupposti: 1) Non sottovaluta il terrorismo,
che non è un fatto di polizie ma di politiche e progetti; 2) Mobilita i
governanti arabi contro un “falso scopo” esterno che non è più Israele ma l’Iran,
“sunniti contro sciiti”, come dicono i giornali, con il quale però l’intesa c’è
già e potrebbe funzionare: il sottinteso è che Teheran non si faccia la bomba, e
Teheran non morirà per la bomba, anzi negozia da tempo per barattare la bomba
contro le sanzioni e per un programma di integrazione economica; 3) Ha messo
gli arabi di fronte alle loro responsabilità - brutalmente, ma è il metodo
giusto, l’unico che può, potrebbe, funzionare.
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