Dopo
le rassegne che lo hanno visto protagonista a New York e nelle capitali europee
dell’arte, a Parigi i giardini di Versailles e le Tuileries, il settantenne
scultore torinese capofila dell’Arte Povera ha una personale anche in Italia –
su iniziativa di Lmvh, il colosso fracencese del lusso padrone di Fendi. Tre
sculture-installazioni arboree. In un ambiente del tutto innaturale che finisce
per essere “naturale”: il “Colosseo quadrato” dell’Eur a Roma, gli spazi aerei
novecenteschi sfuggiti finora a qualsiasi progetto d’uso – svanita l’idea
imperiale della committenza, al tempo di Mussolini, del “monumento” alla
potenza, il monumento all’inutile.
Un’idea
semplicissima e affascinante. A partire dalla “siepe” d’ingresso del complesso di
marmo e travertino. Un “Abete”, una
grande scultura alta venti metri, anima la fronte imponente dell’edificio.
Dentro, le installazioni sembrano trovare nell’ambiente solenne, un po’ perso, la
loro collocazione naturale, e finalmente gli danno vita. La serie “Foglie di pietra”
è una sorta di giardino d’inverno, ricreato in bronzo, e in blocchi di marmo scolpiti
come capitelli antichi. “Ripetere il bosco” è il progetto più antico di Penone,
risale al 1969, e si completa a Roma con una serie di tronchi recuperati da
blocchi di legno. “Matrice” è un’installazione che si presenta sperduta: lunga
30 metri, le due sezioni di un tronco di abete disposte in continuo, entrambe
scavate seguendo l’anello più recente di crescita. E invece si mostra fresca nella
nudità, e riesce a scaldare i freddi marmi dell’immenso ingresso del
monumento. Un’umanità contagiosa creata per magia, da elementi minerali e mineralizzati.
Un connubio delle specie, vegetali in forma, minerali in sostanza, con afflato
umano, a suo modo parlante.
Giuseppe
Penone, Matrice, Fondazione Fendi,
Palazzo dela Civiltà del Lavoro, Eur Roma
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