Un
esercizio in autocoscienza. Evitato.
Invitato
dalla direzione di “Esquire” a “scrivere qualcosa” dopo quattro o cinque anni
di silenzio, qualcosa che giustificasse un borderò, Fitzgerald scrisse nel 1936
tre pezzulli sulla propria eclisse, come scrittore e come personaggio. Ma in
forma di petizione di buona volontà. Con un grazie nominativo a Edmund Wilson,
quello che negli ultimi vent’anni ha pensato per lui, e a due letterati non
nominati che lo hanno guidato e sostenuto - uno probabilmente Hemingway. Ma
soprattutto commiserandosi. Con orgoglio: “In passato la mia felciità personale
ha sfiorato punte d’estasi tali da non poterla condividere neppure con la
persona più cara”.
Brutto
indizio questo. Ma è Fitzgerald: bello e fortunato, buon scrittore anche, di
poche cose, ma stordito e svanito in tutto, anche nell’amore famoso per la
bellissima e altrettanto svanita Zelda. Anche nei ricordi: le sue follie negli
Anni Folli dice ora di aver vissuto con “una diffidenza di fondo, un’animosità”
da contadino – per “l’odio covato dal contadino” – quale lui non era. Sempre
poco serio: il buono di Fitzgerad sarà stata la leggerezza.
La
piccola raccolta si segnala per la cura di Ottavio Fatica. Per la nota al testo
e la postfazione, dove si affissa Fitzgerald alla scrittura artistica - di “talento
poetico”. A partite dalla frase famosa, che ricorre nel primo frammento, quello
del titolo: “Scrivere bene è nuotare sott’acqua
trattenendo il respiro”. Uno scrittore perfetto, “di porcellana” come si
voleva, Fatica non rispamia le iperboli: “cavallo di razza”, “tecnica linguistica
sopraffina”, “qualunque cosa scriva Fitzgerald non sarà mai davvero brutta”, e “se
scrittori come lui oggi sembrano darc le spalle, è perché sono ancora avanti a
noi”.
“All’orizzonte
di ogni boom che si rispetti si profila un crack”, annota Fatica, e questo
avviene con Fitzgerald per ogni rispetto. Alla decade dei successi travolgenti e le
paghe stratosferiche succede quella della sterilità e della quasi poverta,
degli amori con Zelda quella della schizofrenia e l’alcol, delle amicizie
gratificanti quella dell’isolamento. Come all’Età del Jazz o degli Anni Foli
segue la Grande Depressione.
Francis
Scott Fitzgerald, Il crollo,
Adelphi, pp. 64 € 6
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