lunedì 8 maggio 2017

La felicità si paga con la depressione

Un esercizio in autocoscienza. Evitato.
Invitato dalla direzione di “Esquire” a “scrivere qualcosa” dopo quattro o cinque anni di silenzio, qualcosa che giustificasse un borderò, Fitzgerald scrisse nel 1936 tre pezzulli sulla propria eclisse, come scrittore e come personaggio. Ma in forma di petizione di buona volontà. Con un grazie nominativo a Edmund Wilson, quello che negli ultimi vent’anni ha pensato per lui, e a due letterati non nominati che lo hanno guidato e sostenuto - uno probabilmente Hemingway. Ma soprattutto commiserandosi. Con orgoglio: “In passato la mia felciità personale ha sfiorato punte d’estasi tali da non poterla condividere neppure con la persona più cara”.
Brutto indizio questo. Ma è Fitzgerald: bello e fortunato, buon scrittore anche, di poche cose, ma stordito e svanito in tutto, anche nell’amore famoso per la bellissima e altrettanto svanita Zelda. Anche nei ricordi: le sue follie negli Anni Folli dice ora di aver vissuto con “una diffidenza di fondo, un’animosità” da contadino – per “l’odio covato dal contadino” – quale lui non era. Sempre poco serio: il buono di Fitzgerad sarà stata la leggerezza.
La piccola raccolta si segnala per la cura di Ottavio Fatica. Per la nota al testo e la postfazione, dove si affissa Fitzgerald alla scrittura artistica - di “talento poetico”. A partite dalla frase famosa, che ricorre nel primo frammento, quello del titolo: “Scrivere bene è nuotare sott’acqua trattenendo il respiro”. Uno scrittore perfetto, “di porcellana” come si voleva, Fatica non rispamia le iperboli: “cavallo di razza”, “tecnica linguistica sopraffina”, “qualunque cosa scriva Fitzgerald non sarà mai davvero brutta”, e “se scrittori come lui oggi sembrano darc le spalle, è perché sono ancora avanti a noi”.
“All’orizzonte di ogni boom che si rispetti si profila un crack”, annota Fatica, e questo avviene con Fitzgerald per ogni rispetto.  Alla decade dei successi travolgenti e le paghe stratosferiche succede quella della sterilità e della quasi poverta, degli amori con Zelda quella della schizofrenia e l’alcol, delle amicizie gratificanti quella dell’isolamento. Come all’Età del Jazz o degli Anni Foli segue la Grande Depressione.
Francis Scott Fitzgerald, Il crollo, Adelphi, pp. 64 € 6

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