astolfo
Non c’è salvezza senza la riduzione del debito. Questo sito lo ha spiegato profusamente
Non c’è salvezza senza la riduzione del debito. Questo sito lo ha spiegato profusamente
Ma è l’evidenza.
Il debito cresce
sul debito. È la storia dell’Italia degli ultimi venticinque anni, degli attivi
primari - il bilancio, senza gli interessi sul debito, sarebbe ogni anno attivo
e non passivo.
Il debito è la
sola riforma che l’Italia non ha fatto. È quella che l’avrebbe liberata e
rilanciata. Ma non si fa. Non se ne parla nemmeno. Se non per vendita dei
cespiti pubblici, che però non risolve, si invoca giusto per ragioni di
bottega, per fare affari.
Il debito dà da
vivere alla speculazione, e questa è un ragione del silenzio - l’informazione
economica è malsana. Più dà da vivere un debito “all’italiana”, solido ma
ricattabile, con profluvi di B e sottovalutazioni. Ma non è una buona ragione
per disinteressarsene. Non per la politica. E ci sono pochi dubbi che una
politica centrata sulla riduzione del debito, e quindi della tassazione, incontrerebbe
più di quella antieuropea o antiimmigrati. Perché non si fa è un mistero. Paura
di scomodare gli speculatori?
Le tasse bruciano risorse
Moltiplicare le
tasse per ridurre il debito è una sciocchezza e un delitto: con le tasse il
debito si moltiplica e non si riduce. Lo
ha fatto il professor Monti, e quindi passa in cavalleria, ma sovverte ogni principio della tassazione. In presenza
di uno Stato taccagno e micragnoso, che non paga le farmacie, gli ospedali, gli
appaltatori, i fornitori, e anche gli stipendi, non dà più aumenti. Aumentare
le tasse e aumentare il debito in queste condizioni, solo per pagare gli
interessi, è distruggere ricchezza: le
tasse aumentano in numero e percentuale,
la base imponibile si contrae. Ora si tartassa la casa, di cui non è facile
liberarsi, e i servizi civici minimi, e poi?
Il fenomeno del
disavanzo incomprimibile con la tassazione non è solo italiano, ed è noto. Lo
hanno spiegato una dozzina d’anni fa Vito Tanzi,
italiano d’America, allora al Fondo Monetario internazionale, vice-ministro di
Tremonti all’Economia, e Ludger Schuknecht, ora consigliere principe del
ministro tedesco delle Finanze Schaüble, nello studio “La spesa pubblica nel
XXmo secolo”. I due studiosi documentavano che la crescita abnorme del debito
pubblico nei paesi industriali nell’ultimo terzo del secolo scorso non nasceva
da un allargamento del welfare, del
sistema di protezione sociale, che non ne beneficiava, se non in misura
irrisoria. A un certo punto il debito si autoriproduce, senza alcun effetto
virtuoso o produttivo.
Divoratore di ricchezza
Il debito in sé
non è un peccato, non sempre, entro limiti, il debito pubblico lo è. Uno studio
recente di Victor Shih, docente della School of International Relations and
Pacific Studies di San Diego in California, ha analizzato l’effetto di un
debito importante sull’economia in questi termini, nel caso della Cina. Alla
Cina viene imputato nel 2014 (a calcolo, essendo lo yuan inconvertibile) un
debito totale pari al 282 per cento del pil. Di questo solo un quinto, pari al
55 per cento, è il debito pubblico propriamente inteso. Il debito delle
famiglie è il 38 per cento del pil, quello delle istituzioni finanziarie il 65
per cento, quello delle imprese il 125 per cento. Il calcolo è del McKinsey
Global Institute. In termini assoluti, il debito totale sarebbe quadruplicato
tra il 2007 e il 2014, passando da 7.400 a 28.200 miliardi di dollari. Favorito
da condizioni favorevoli di credito, che cresce a un ritmo doppio rispetto a
quello del pil. Come negli Usa negli anni Duemila prima del crac del 2007, ci
si indebita in Cina per giocare in Borsa, per un ammontare che il World Gold
Council calcolava a metà maggio in 1.670 miliardi di yuan.
Il debito serve a
oliare la macchina della produzione - del lavoro, del reddito. Ma bisogna
sapere a che costo. Sempre in Cina, per fare aggio sullo studio americano, nel
2010 gli interessi da pagare sul debito hanno assorbito l’80 per cento del
valore aggiunto nominale, dell’incremento nominale del pil. Nel 2012 quasi il
100 per cento. Nel 2013 il 140 per cento. Nel 2014 il 200 per cento. Nel 2014
il servizio del debito si è mangiato il doppio della crescita pur elevata del
pil – il 7 per cento.
Il rapporto
debito\pil è una mannaia. Automatica a ripetizione: con un debito elevato il
suo costo si mangia il pil. La produzione, la produttività, e anche le riserve
che fossero state accumulate (il patrimonio). Il debito incontrollato, con
servizio del debito elevato, mette anche il difficoltà le banche, accrescendo
inevitabilmente le sofferenze creditizie. E castra gli enti locali con i
relativi servizi, restringendone bloccandone la capacità di finanziarsi – che è
il pattern degli ultimi anni, orami
quasi un ventennio. Con effetti catastrofici sull’opinione e il voto, poiché a
essi è demandata l’assistenza.
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