Un
racconto a prima vista improbabile, a riassumerlo: l’amore che si degrada,
anche tra padri e figli, nel tempo, nella convivenza, o sboccia senza ragione.
Che però, a rifletterci, è l’esperienza comune. Drammatizzata naturalmente,
come eccezione, fuori dalla routine.
Nei protagonisti caratterizzati, il padre-nonno, la vicina sventata, il marito
della vicina problematico, e in quelli che non hanno un ruolo, se non scontato.
Un
drammone corposo, che lascia traccia, più d’una. Svelto, alla maniera di
Amelio, non melodrammatico, ma per vari aspetti epocale, della famiglia del
Millennio, nel non-luogo metropolitano. Tra affanni, distrazioni, malattie,
anche mentali, e lampi di affabilità e simpatia, gli stessi della vita di
tutti. Nel frastuono.
Il
titolo è antifrastico – il soggetto originale lo scrittore Lorenzo Marone aveva
intitolato “La tentazione di essere felici”. Di una vicenda grigia, e anzi cupa.
Dei rapporti padri-figli – figli adulti: di querimonie, senza slancio. E di amori
alla follia. Compreso quello che il vecchio padre, ancora capace di sentimenti,
stabilisce d’istinto con un’occasionale sbadata vicina. Sullo sfondo di una
Napoli quale è, prototipo della metropoli, veloce, fredda, immersa nel
suo cupo “lavorerio”, sia pure solo vagare rumoroso in scooter.
Una
prova superba di Carpentieri, con la maestria, di dizione e di portamento, di
chi domina le scene. Una conferma di maturità e spessore - fra le tante attrici
giovani da frizzi e guizzi, da telenovela – di Micaela Ramazzotti, si capisce
che lavori molto ultimamemnte, che padroneggia il registro drammatico e quello
svaporato, fino alla pronuncia blesa: una Monica Vitti. Di sensibilità per un
irriconoscibile Elio Germano: poche inquadrature, ma bastanti a farne
dimenticare la piattezza televisiva. O con Amelio gli attori “rendono” – Fantastichini,
Volonté, Lo Verso, Placido, Gifuni, Rossi Stuart.
Gianni
Amelio, La tenerezza
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